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“Quo Vadis Domine”: storia della Chiesa meta dei pellegrini nell’Anno Santo

Tra i tanti luoghi che i pellegrini diretti a Roma per l’Anno Santo, oltre alle basiliche maggiori e minori della città, faranno una visita alla piccola e devota chiesa del Quo vadis Domine, sulla Via Appia. Questo sacro tempio sarebbe sorto nel luogo dove all’apostolo Pietro, che fuggiva da Roma per evitare la persecuzione contro i cristiani, voluta dall’imperatore Nerone (54-68 d.C), sarebbe apparso Gesù, che a sua volta procedeva verso l’Urbe. Pietro lo riconobbe e gli chiese: “Domine quo vadis?”, al che il Signore rispose: “Venio Romam iterum crucifigi” (Vengo a Roma per essere crocifisso di nuovo). Pietro, capì allora quale fosse la sua missione da compiere, fino all’estremo sacrificio e riprese la strada per tornare a Roma, e secondo la tradizione, sarà crocefisso a testa in giù, su sua richiesta, non sentendosi degno di morire nello stesso modo del suo Maestro.

Le parole furono riportate da S. Ambrogio nella Lettera contro Auxentius, un teologo ariano e vescovo di Milano predecessore dello stesso Ambrogio, vissuto nel IV secolo, era originario della Cappadocia e venne nominato vescovo di Milano nel 355 d.C. La sua nomina fu vista con sfavore dalla Chiesa cattolica, che lo considerava un “intruso” a causa della sua fede ariana. La dottrina ariana, in contrasto con il Credo Niceno (che affermava la consustanzialità di Padre e Figlio) sosteneva che Gesù Cristo non fosse della stessa sostanza divina del Padre, ma una creatura umana, sebbene la più perfetta. Le parole furono riprese da quanto narrato negli “Atti apocrifi di Pietro”, che furono scritti da Leucio Carino tra il 150 e il 200 d.C.

Leucio Carino era un discepolo dell’apostolo Giovanni, che avrebbe composto anche altri Atti apocrifi, compresi nel cosiddetto “ciclo leuciano”: atti di Pietro, di Giovanni, di Andrea, di Tommaso e atti di Paolo. Lo stesso episodio è raccontato negli scritti del filosofo neoplatonico Origène (184-254), dallo scrittore Egesippo (110-180) e ne troviamo traccia anche negli Atti dei Santi Processo e Martiniano vissuti a Roma nel I secolo.

Il giornalista dell’Osservatore Romano e studioso di archeologia cristiana Sandro Carletti (1911-1979) dopo una serie di approfondite considerazioni affermò che la leggenda del “Quo vadis” risale almeno al principio del IV secolo; la localizzazione sull’Appia risale all’XI secolo; le prime notizie scritte riguardanti un santuario, che abbia una qualche relazione con la leggenda, risalgono alla seconda metà del XIII secolo; il santuario era dedicato alla Madonna e aveva il toponimo “ Ubi Dominus apparuit”, cioè dove apparve il Signore.

Successivamente, come è dimostrato da altri vari documenti l’indicazione topografica fu sostituita da altre: “de palma”, “ad passus”, “plantarum”, “ad transitum”. Le espressioni “de palma” e “plantarum” si riferiscono o a qualche albero che sorgeva presso la chiesa o alla pietra votiva su cui sono scolpite due impronte di piedi, che i pellegrini del medioevo, che giungevano nella città per visitare le tombe degli Apostoli, per primi, ritennero essere le orme di Gesù.

La chiesa del Quo vadis Domine, risale al IX secolo, ma venne riedificata nei secoli XVI e XVII, all’interno restaurato nel 1592 dal cardinale spagnolo Francisco de Toledo Herrera (1532 -1596) mentre la facciata è stata completamente rifatta per interessamento del cardinale Francesco Barberini (1597 – 1679) nel 1637. Altri importanti restauri furono eseguiti nel 1620 a cura del francescano Ignazio Floriani da Castelfidardo, che, con il permesso di Paolo V (1605-1621) fece porre all’interno della chiesa, una copia della pietra con le impronte, mentre l’originale fu trasferito nella vicina basilica di S. Sebastiano.

Si tratta di un “ex-voto” lasciato da qualche legionario romano tornato salvo in patria dalla guerra. Anticamente, in questo stesso luogo, c’era un tempio dedicato al dio Redicolo, divinità pagana che veniva invocata per il felice ritorno da un viaggio o da una spedizione. La pietra poggia su una fascia dell’antica pavimentazione appartenente al tempio di Marte, pure situato in questa zona.

Sull’altare maggiore è un’antica immagine della Vergine con il Bambino, attribuita alla scuola di Giotto e risalente forse alla prima metà del XIV secolo, ai lati la crocefissione di Gesù e quella di S. Pietro, opere eseguite nel 1820 da Ercole Ruspi e donate dalla regina Maria Cristina di Spagna (1833-1902).

Giovanni Paolo II (1978-2005) ha visitato la Chiesa del “Quo Vadis Domine?” il 22 marzo 1982. Questo evento è ricordato da una lapide interna alla chiesa. E quel giorno rivolgendosi ai presenti disse: “Voi tutti sapete bene che cosa vuol dire “Quo Vadis?”. Certamente sapete il suo significato perché è una parola profondamene radicata nella storia di Roma e nella storia della Chiesa. E’ un racconto, però un racconto che ha trovato nel cuore dei cristiani una profonda accoglienza ed una speciale credibilità. “Quo Vadis?”, è il luogo in cui ci troviamo. È un luogo molto importante, decisivo per ogni successore di Pietro. Così è stato per Pietro nella sua vita e, negli ultimi momenti della sua vita, è stato un momento decisivo. Ed è rimasto decisivo per tutti i suoi successori. E’ un luogo che ha una speciale importanza nella storia di Roma e nella storia della Chiesa. Trovandomi in questo luogo, in questo Santuario voglio ringraziarvi per tutte le preghiere che qui vengono fatte per la Chiesa, per il successore di Pietro, per il Papa”.

Infine da ricordare che all’interno è conservato un busto dello scrittore polacco Enrik Sienkivicz (1846-1916) premio nobel della Letteratura nel 1905 e autore del famoso romanzo “Quo vadis?”.

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