Una telefonata ti accorcia la vita

Una notizia come tante, a proposito di una ragazza come tante, investita a morte in pieno centro a Roma in un tardo pomeriggio d’estate, da un bus con alla guida un conducente come tanti. Storie di ordinari decessi nelle grandi metropoli della modernità intelligente. I magistrati stanno accertando se la giovane abbia effettivamente attraversato col rosso senza accorgersene, come hanno riferito alcuni testimoni (mentre altri parlano di un guasto all'impianto semaforico). Resta da valutare anche se la vittima dell'incidente, prima di essere travolta, fosse immersa nel mondo parallelo racchiuso in quel minischermo divenuto ormai protesi della parte fortunata di popolazione mondiale che non muore di fame o dalle bombe.

A pensarci bene, la minaccia di un futuro abitato da cyborg – metà macchina e metà umano – è già qui; senza accorgersene, i mutanti tecnologici siamo diventati noi stessi. Che rabbia ripensando alle conseguenze tragiche di una distrazione banale. In Olanda stanno sperimentando i semafori collocati sul pavé stradale così da renderli visibili ai pedoni ingobbiti: l’homo sapiens, evolutosi in altezza per scrutare meglio l’orizzonte, sta subendo una sorta di involuzione posturale causata dal restringimento prospettico dei piani temporali e spaziali condensati nella scatoletta luminosa di silicio.

Purtroppo le fatalità collaterali, per utilizzare il gergo bellico divenuto assurdamente familiare nella retorica generalista, vanno ben oltre l’insensatezza dei suicidi involontari alla caccia del selfie estremo o gli incidenti stradali da distrazione che stanno silenziosamente facendo strage nelle grandi e piccole città metropolitane. Molto prima del suo malsano utilizzo finale, lo smartphone, icona incontrastata del presente ma pur sempre oggetto di materia inerte se sfrondato dall’aurea di desiderio feticista che lo circonda, è costruito con l’utilizzo di materie prime divenute merce di scambio preziosa, su cui aleggiano interessi famelici e pratiche commerciali senza scrupoli. Ormai dai tempi dei primi telefoni portatili e degli arcaici personal computer, oggi entrambe sostituiti dalla sintesi più efficiente del telefono smart, è risaputa la guerra mai sopita –  nonostante una pace ufficiale – che nello Stato della Repubblica Democratica del Congo ha causato più di cinque milioni di morti in pochi anni per il controllo delle miniere di Coltan e altri minerali essenziali nella costruzione dei microchip, cuore e cervello della tecnologia digitale. La morte non è contemplata nell’universo fantasmagorico della società dello spettacolo. Eppure, un esercito di circa 90 milioni di bambini in carne ed ossa sono costretti ogni anno a calarsi, rimanendovi spesso seppelliti, nelle miniere di litio e cobalto, in Africa come in Sudamerica (la nuova eldorado degli avvoltoi del profitto a tutti i costi), per estrarre al prezzo di un tozzo di pane la materia di base delle batterie al litio, senza le quali il mondo hi-tech e finanziario semplicemente cesserebbero di esistere.

Che dire, infine, degli effetti dei campi elettromagnetici invisibili emessi da telefonini, ripetitori e wi-fi, che ci avviluppano in ogni dove e dei quali eminenti studi scientifici hanno dimostrato la pericolosità per la salute umana, nel solito silenzio assordante della politica e dell’informazione? Intanto, decine di bidonville sparse in tutto il mondo, abitate dai più disperati e miserabili, ingiustamente dimenticati dalle coscienze del mondo benestante, “ringraziano” per le tonnellate di rifiuti tecnologici gentilmente importati che intossicano i corpi, inquinano irrimediabilmente il terreno e le sue falde acquifere, estirpano le radici di intere popolazioni. Un famoso slogan recitava che una telefonata ti allunga la vita. A distanza di qualche anno, possiamo con convinzione affermare che non fosse poi così azzeccato.