L’“ansia da palestra” (o “gymtimidation”) è un disturbo specifico dei tempi correnti che, a causa di presunta inadeguatezza e vergogna, impedisce o limita la pratica di attività sportiva al chiuso. Il fenomeno, molto più diffuso di quanto possa sembrare, è piuttosto limitante: nei casi peggiori induce l’individuo a rinunciare a frequentare la palestra, nelle situazioni più lievi la permanenza in sala è vissuta con molta difficoltà, senza piacere. Si tratta di una problematica di relazione, in cui, per motivi diversi (timore del giudizio altrui, di non essere all’altezza, di spogliarsi dinanzi ad altri), il soggetto prova notevole disagio.
Subentra anche il sottile timore che invade chiunque nel momento in cui si reca in un ambiente nuovo, per la prima volta: può trattarsi di una palestra, un posto di lavoro, una scuola, un circolo, ecc. Quest’imbarazzo della novità riguarda tutti e, quindi, non va esasperato: per sua natura è di breve durata e risulta superato, gradualmente, nel conoscere il contesto stesso. L’impaccio del principiante è fisiologico (in questo caso nel vero senso del termine) e universale, questa consapevolezza dovrebbe aiutare ad affrontarlo. Saper uscire dalla propria “comfort zone” è sinonimo di crescita personale, di fiducia e autostima. Non conoscere al meglio l’esecuzione di un dato esercizio fisico o l’utilizzo di un macchinario, non deve sviluppare vergogna poiché rientrante nella “normalità di una novità” in cui tutti, peraltro, sono stati coinvolti e sopravvissuti. La paura è immotivata anche perché è premura dei titolari e degli istruttori di rendere la frequentazione il più possibile familiare, evitando inutili imbarazzi. È loro interesse, infatti, che il cliente si trovi a proprio agio, soddisfatto e che possa rimanere iscritto per molto tempo.
L’iniziale poca familiarità con gli attrezzi può essere superata attraverso il ricorso agli istruttori, senza il correlato timore di chiedere informazioni al riguardo. È opportuno concentrarsi sul lavoro che si svolge e sui progressivi risultati ottenuti anziché esser ossessionati dal (presunto) giudizio negativo degli altri frequentatori. Non essere in forma, appunto, non è una colpa né motivo di discriminazione o sbeffeggio. Eventuali episodi di bullismo, in particolare legati all’aspetto fisico, alimentano il disturbo e inibiscono l’attività fisica dinanzi al prossimo. In alcuni casi, l’ansia deriva da altre cause: l’ambiente chiuso, infatti, è una delle condizioni per cui si può sviluppare agorafobia; il terrore per il giudizio del prossimo, invece, è un riflesso della fobia sociale.
Benedetto XVI, nel Discorso alla Delegazione del Comitato Olimpico Nazionale Italiano del 17 dicembre 2012, affermò “Ogni attività sportiva, sia a livello amatoriale che agonistico, richiede la lealtà nella competizione, il rispetto del proprio corpo, il senso di solidarietà e di altruismo e poi anche la gioia, la soddisfazione e la festa. Tutto ciò presuppone un cammino di autentica maturazione umana, fatto di rinunce, di tenacia, di pazienza, e soprattutto di umiltà, che non viene applaudita, ma che è il segreto della vittoria. Uno sport che voglia avere un senso pieno per chi lo pratica deve essere sempre a servizio della persona. La posta in gioco allora non è solo il rispetto delle regole, ma la visione dell’uomo, dell’uomo che fa sport e che, al tempo stesso, ha bisogno di educazione, di spiritualità e di valori trascendenti. Lo sport infatti è un bene educativo e culturale, capace di rivelare l’uomo a se stesso ed avvicinarlo a comprendere il valore profondo della sua vita. […] L’attività sportiva può educare la persona anche all’‘agonismo’ spirituale, cioè a vivere ogni giorno cercando di far vincere il bene sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi”.
Il professor Ermanno Ferretti è l’autore del volume “Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva” (sottotitolo “Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance”), pubblicato da “Cairo” nel giugno del 2024. Parte dell’estratto recita “In una società che ci impone sempre di dare il massimo e di puntare all’obiettivo più alto, riappropriarsi del diritto di fallire è un imperativo categorico, se non altro per vivere più sereni con sé stessi! E non è poco. A ognuno di noi capita ormai molto spesso di leggere o ascoltare fatti di cronaca che sottolineano come facciamo sempre più fatica ad accettare una sconfitta, sia nella vita privata sia sul lavoro. […] Costruire una società più sana, per prendere la vita con autoironia e un pelo di scetticismo; in un certo senso, un libro di auto-aiuto al contrario, per comprendere i propri limiti e guardare avanti con nuovo slancio”.
Il 30 giugno scorso, l’Istat ha pubblicato, al link https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/06/La-pratica-sportiva-in-Italia_2024.pdf, un report sulla pratica sportiva in Italia nel 2024. Fra i numerosi dati che riguardano il fenomeno, si possono ricordare i seguenti “Aumentano le persone di 3 anni e più che praticano sport nel tempo libero, dal 26,6% nel 1995 al 37,5% nel 2024. La crescita interessa soprattutto la pratica sportiva continuativa (dal 17,8% al 28,7%), mentre la pratica occasionale è rimasta pressoché stabile (intorno al 9%). Nel 2024 il 48,8% degli sportivi dichiara di praticare sport una o due volte a settimana. Gli uomini praticano sport con maggiore frequenza delle donne: si allenano tre o più volte a settimana il 40,3% degli uomini e il 32,8% delle donne. Il 59,5% dei praticanti si esercita in impianti sportivi al chiuso (come, ad esempio, palestre e piscine coperte), e il 36,8% in impianti all’aperto (campi di calcio, di tennis, ecc.). Cresce la pratica di sport in casa o negli spazi condominiali che in circa 10 anni passa dal 13,5% al 20,2%. Lo sport è praticato prevalentemente per mantenersi in forma (61,5%), passione o piacere (49,8%) e per svago (42,6%), ma anche per ridurre lo stress (27,5%). Nel 2024 non pratica sport il 62,5% della popolazione dai 3 anni in su, di cui il 29,7% svolge comunque attività fisica, come camminate, bicicletta o esercizi in casa, mentre il 32,8% è del tutto sedentario. Nel 2024 il 25,4% della popolazione di 3 anni e più dichiara di aver interrotto la pratica sportiva esercitata in passato. Tra i giovani di 10-24 anni, le ragazze abbandonano lo sport più dei ragazzi (21,6% contro 15,1%), in media un anno prima (a 14 anni contro i 15 dei maschi)”.
La ricerca della perfezione (un diktat dell’epoca attuale) svolge un ruolo decisivo nel parametrare il singolo gesto atletico e convenire, inesorabilmente insoddisfatti, in un conseguente calo dell’autostima, di non essere adeguati. L’altro ordine contemporaneo del “tutto e subito” induce sconforto in chi pretende di ottenere risultati immediati. Alcuni consigli presenti nella Rete per aiutare a superare tale ansia suggeriscono di allenarsi in casa o all’aperto, lontano dagli occhi degli altri. Tali indicazioni, tuttavia, sembrano certificare il disagio: anziché invogliare a superarlo poiché infondato, propongono una rinuncia, un evitamento.
In questo rientra anche la (debole) proposta di frequentare il centro sportivo negli orari di minor affluenza. Non trattandosi di uno sport di squadra, occorre anche tenere in considerazione la sua naturale tendenza all’individualità e a minori relazioni sociali. La base principale del problema è quella del confronto rispetto agli altri e di considerarsi un novizio, poco esperto e allenato, al contrario degli esperti del posto. La “ricetta” si inserisce, probabilmente, nel trasformare il confronto in incontro, in una graduale relazione con il prossimo.
Alcuni contesti, la palestra è fra questi, sono per loro natura più competitivi: il narcisismo di alcuni serpeggia evidente, in un’esteriorità da ostentare e suscitare invidia. La concentrazione sul proprio lavoro, misto a una personalità integra e solida, tuttavia, possono aiutare a conferire meno valore al giudizio altrui. La società dell’esteriorità, della bellezza e della perfezione corporea tende a eleggere la palestra fra le proprie cattedrali, nella quale, alcuni adepti (non la maggioranza che la frequenta per pura passione e per svolgere sana attività fisica, senza velleità da ostentare), “costruiscono” i suddetti target.
Le paure dell’insuccesso, del non essere all’altezza, del fallimento, declinate, in questo caso, nell’attività sportiva praticata dinanzi agli occhi e al giudizio altrui, rappresentano il vero grande incubo della società contemporanea, selettiva e discriminante; occorre ricordare come, non tutta, risulti così concorrenziale e compromessa. L’esempio del milione di giovani accorsi al Giubileo, nel loro gioire, condividere, includere ed esprimere, ne costituisce, infatti, un vero antidoto.

