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Luigia Carlucci Aiello: “L’IA strumento nelle mani dell’uomo. L’etica deve essere la nostra”

L'intervista di Interris.it alla professoressa Luigia Carlucci Aiello, pioniera dell'intelligenza artificiale in Italia, che il 7 giugno riceverà la cittadinanza onoraria dal Comune di Cerreto d'Esi, sua città natale

Nelle foto, gentilmente concesse, la professoressa Luigia Carlucci Aiello

Luigia Carlucci Aiello – che ha contribuito in modo determinante allo sviluppo delle scienze informatiche e dell’intelligenza artificiale nel nostro Paese – nasce nel 1946 a Cerreto d’Esi per poi trascorrere l’infanzia a Trinquelli (sempre tra le colline marchigiane) e l’adolescenza a Fabriano, fino al conseguimento della maturità. Terminato il liceo è ammessa alla Scuola Normale Superiore di Pisa, città in cui si trasferisce per gli studi universitari. Nel 1968, consegue la laurea in matematica, indirizzo applicativo calcolatori elettronici, e inizia la carriera di ricercatrice. Dal 1970 è assunta al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dove resta fino al 1981.

La carriera universitaria

Svolge la sua esperienza di ricercatriche sia al Centro Studi Calcolatrici Elettroniche, poi diventato IEI, Istituto di Elaborazione dell’Informazione, che all’Artificial Intelligence Laboratory della Stanford University, diretto da J. McCarthy. Professore ordinario dal 1981, dal 1982 al Dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale Antonio Ruberti della Sapienza Università di Roma, dove – da novembre 1991 a maggio 2015 – è titolare della cattedra di Intelligenza Artificiale. Nel 1988 fonda l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, di cui è stata prima Presidente. Una importante carriera universitaria culminata con la direzione del dipartimento (2006 -2010). Successivamente è la prima Preside della neocostituita Facoltà di Ingegneria dell’Informazione, Informatica e Statistica (2010-2013), nonché Ambasciatrice Sapienza.

L’intervista

Il 7 giugno 2025 il Comune di Cerreto d’Esi conferirà alla professoressa Luigia Carlucci Aiello – pioniera dell’intelligenza artificiale in Italia e scienziata di fama internazionale – la cittadinanza onoraria, dopo averla ivi vista nascere e rimanerci per i primi 18 mesi di vita.

Professoressa, da dove nasce la sua passione per l’informatica e l’intelligenza artificiale?

“Alla Normale di Pisa ho iniziato a studiare matematica, scegliendo l’indirizzo applicativo. Già in IV elementare al tema, assegnatomi dalla maestra, dal titolo ‘Cosa vuoi fare da grande’ scrissi della mia passione di studiare matematica e di voler fare l’insegnante di matematica. All’epoca della mia adolescenza, neanche immaginavo l’esistenza di ambiti di studio che ho scoperto solo iniziando a lavorare nel campo dell’informatica e dell’intelligenza artificiale e partecipando a progetti di ricerca che, negli anni Settanta, sembravano fantascienza. In Italia, la tecnologia di quel momento ruotava intorno alla CEP (calcolatrice elettronica pisana) costruita da un gruppo di fisici su suggerimento di Enrico Fermi. Ed intorno a questo computer viene costituito un centro di studi del CNR. Istituto, nel quale vengo assunta nel 1970, rimanendovi fino al 1981, che è stato la culla, della ricerca in informatica e dell’intelligenza artificiale in Italia”.

Come ha iniziato a lavorare in intelligenza artificiale?

“Ad una scuola estiva in Jugoslavia conobbi John McCarthy. Ero molto interessata, in particolare, ad un argomento che veniva studiato nel suo laboratorio e sul quale c’era molto fermento: la dimostrazione automatica di teoremi. Questo è il passo che mi porta dalla matematica, all’informatica e all’intelligenza artificiale. Così nel 1973 insieme a un giovane borsista del Politecnico di Milano – conosciuto ad una cena sociale del CNR e da lì ad un anno divenuto mio marito e subito dopo il padre di mio figlio – decidemmo di condividere la comune passione lavorativa a Stanford, nel laboratorio di McCarthy. Seppure di formazione diversa, io laureata in matematica e mio marito in ingegneria elettronica, eravamo entrambi interessati all’informatica e all’intelligenza artificiale. Nei primi anni Settanta la sfida era quella di arrivare ad avere un computer personale con il quale avere interazioni personali: far parlare e pensare le macchine per aiutare l’uomo e non per sostituirle all’uomo”.

Cos’è l’intelligenza artificiale?

“L’intelligenza artificiale nella visione dei padri fondatori, John McCarthy e prima di lui Alan Turing, e in quella di chi poi ha continuato a lavorare in questo settore, è un sistema elettronico capace di comportarsi in maniera intelligente, in pratica capace di riprodurre il ragionamento umano. Come diceva nei suoi scritti John McCarthy l’intelligenza artificiale vuole automatizzare il ragionamento di senso comune perché vuole raggiungere un colloquio con un computer allo stesso modo di come sarebbe il dialogo tra due esseri umani. L’intelligenza artificiale in quanto tale è prima di ogni cosa una disciplina, un campo di ricerca che ha bisogno della collaborazione con altri campi di ricerca”.

Un problema connaturato all’IA che la comunità della ricerca ha iniziato a porsi già 50 anni fa è quello etico.

“Non è lo strumento che è etico o non etico di per sé, ma è l’utilizzo che se ne fa: in altre parole l’etica è la nostra. L’intelligenza artificiale è, comunque, uno strumento in mano agli esseri umani; siamo dunque noi che dobbiamo volerlo e saperlo implementare e usare correttamente. Possiamo esemplificare al massimo dicendo che l’intelligenza artificiale è un martello, le martellate dobbiamo saperle e volerle dare noi. Fondamentale e prioritaria è la formazione non solo di chi può sviluppare questi strumenti ma anche degli utenti ai quali deve essere fatto capire il potenziale anche ‘distruttivo’ dello strumento che hanno in mano. La potenza dello strumento non può prescindere dalla competenza, dalla motivazione e dall’intenzione di chi lo utilizza. L’algoritmo è ineludibilmente influenzato da chi lo ha progettato ma lo strumento non può essere messo in mano a chi non ha formazione e competenze, poiché sarebbe come mettere alla guida di una Ferrari una persona senza patente. Un elemento molto critico è proprio l’ignoranza degli utenti”.

Quanto il tema delle origini è stato determinante per decidere di lasciare l’America e tornare in Italia?

“Un affresco di Diego Rivera – che si trova in Messico nel Palacio Nacional, ovvero il palazzo presidenziale – catturò, durante un viaggio, la mia attenzione: i frutti del lavoro che tornano alla terra. Forse fu proprio in quel momento che decisi che volevo tornare in Italia e riportare quello che avevo imparato a Stanford. E quando nel 1980 mio figlio di otto anni mostrava di legarsi ormai troppo all’ambiente americano, decisi che era giunto il momento di tornare a casa e fargli proseguire gli studi in una scuola italiana”.

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