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Mozambico, un Paese travolto da jihadismo e crisi umanitaria

La situazione nelle regione mozambicana di Cabo Delgado spiegata a Interris.it dal dottor Luca Mainoldi, africanista di Fides

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Foto di Farah Nabil su Unsplash

Il Mozambico, anni fa, era considerato dei Paesi più stabili dell’Africa australe, ora invece si dibatte in una situazione complessa, difficile da districare, tra tensioni interne, conflitti etnici e terrorismo di matrice jihadista che, nella regione di Cabo Delgado, si stanno manifestando in tutta la loro gravità, causando vittime e sofferenze tra la popolazione civile. Interris.it ha intervistato il dottor Luca Mainoldi, africanista di Fides.

dialogo
Foto di Allen Meki su Unsplash

L’intervista

Dottor Mainoldi, come si sta configurando la situazione interna in Mozambico, e in particolare nella provincia di Cabo Delgado?

“Cabo Delgado, la provincia più a nord del Mozambico, vive dal 2017 una profonda instabilità a causa di un’insurrezione che ha rapidamente assunto una connotazione jihadista. Il gruppo ribelle, inizialmente noto come ‘shabab’, si è affiliato allo Stato Islamico, adottando il nome di “Provincia dello Stato Islamico in Mozambico”. Questo gruppo viene attualmente contrastato dalle forze di sicurezza locali e da contingenti militari stranieri, ma continua a essere molto attivo sul territorio. I jihadisti attaccano regolarmente villaggi, impongono pedaggi tramite posti di blocco e colpiscono in particolare le comunità cristiane. Sono inseriti in una rete di propaganda legata al cosiddetto Stato Islamico, e spesso diffondono video delle loro azioni violente. A rendere il quadro più complesso c’è anche l’interesse economico: la regione, pur essendo estremamente povera, è ricca di gas naturale offshore. Circa dieci anni fa sono iniziate le operazioni di sfruttamento di questi giacimenti, che richiedono però infrastrutture a terra. La compagnia Total sta cercando di riaprire uno dei suoi impianti nella zona, ma gli attacchi jihadisti ne minacciano la sicurezza, causando gravi danni economici al Paese. Dal punto di vista umanitario, la situazione si è aggravata negli ultimi due mesi: si stimano almeno 60mila sfollati interni, una crisi sottolineata anche da Papa Leone XIV, che ha lanciato un appello per la pace”.

Quali sono le motivazioni alla base di questo conflitto?

“Cabo Delgado è storicamente la provincia più povera del Mozambico, un Paese che già affronta enormi difficoltà economiche. L’insurrezione è esplosa nel 2017, in coincidenza con l’avvio delle operazioni legate allo sfruttamento del gas naturale. È plausibile che alla base del conflitto vi sia una forte rivendicazione sociale ed economica da parte delle popolazioni locali, che si sentono escluse dai benefici derivanti dalle risorse del loro stesso territorio. Colpisce, però, il fatto che questa ribellione abbia assunto quasi subito un’identità jihadista. I leader del gruppo parlano apertamente di espansione dell’ideologia islamista radicale. È quindi necessario approfondire le motivazioni più profonde che hanno reso possibile questa trasformazione, ancora oggi non del tutto chiare”.

Guardando al futuro, quale ruolo potrebbero giocare le potenze straniere? Quale scenario si prospetta?

“Le potenze straniere, soprattutto quelle della Comunità di sviluppo dell’Africa Australe, sono già intervenute con una missione militare a supporto dell’esercito mozambicano. Tuttavia, questi contingenti sono stati ritirati lo scorso anno. Attualmente, è il Rwanda a fornire supporto con le sue forze speciali, mentre anche l’esercito della Tanzania sta intervenendo per contenere la diffusione del conflitto. Nonostante questi sforzi, la situazione resta fuori controllo. Le testimonianze locali riferiscono che le forze armate mozambicane, in alcuni casi, hanno colpito civili, alimentando sfiducia e favorendo il consenso verso gli insorti. Diventa quindi essenziale un cambiamento di strategia: un approccio che integri la risposta militare con interventi concreti per lo sviluppo economico e sociale dell’area. Solo così si potrà isolare il jihadismo e rispondere in modo efficace alle vere cause del conflitto”.

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