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Romeo (Ispra): “Come ridurre i rischi dei disastri naturali”

Il “rischio zero” non esiste, ma con i rischi si può convivere. Lo spiega a Interris.it il geologo Saverio Romeo dell’Ispra, esperto di dissesto idrogeologico

Nell'immagine: a sinistra Foto di Dio Helmy Ardham: https://www.pexels.com/it-it/foto/cartello-di-attenzione-frana-nella-foresta-di-mojokerto-32932131/, a destra il geologo Saverio Romeo (per gentile concessione)

Nell’ultimo decennio, disastri naturali ed eventi estremi hanno occupato sempre maggior spazio nelle cronache. Dalla sequenza sismica che ha distrutto Amatrice, colpendo anche parte del territorio umbro e marchigiano, alla tempesta Vaia che ha devastato ettari di foreste alpine in Veneto fino alle alluvioni che hanno colpito le provincie di Pesaro-Urbino e Ancona nel 2022 e l’Emilia-Romagna nel 2023 e la frana di Ischia. Il recente rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul dissesto idrogeologico registra un aumento del 15% della superficie del territorio italiano a pericolosità per frane, dal 55.400 a 69.500 chilometri quadrati, che riguarda 5,7 milioni di persone. Ancora, il 94,5% dei comuni italiani è a rischio frana, alluvione, erosione costiera o valanghe. L’Italia è un posto pericoloso, viene da chiedersi? “Come lo è ogni parte del pianeta dobbiamo saper convivere con i rischi, conviene investire in prevenzione rispetto a dover riparare i danni”, dice a Interris.it il geologo Saverio Romeo, esperto di dissesto idrogeologico (Ispra), che lo ha intervistato in occasione della Giornata mondiale per la riduzione dei rischi dei disastri naturali.

L’intervista

Perché è aumentata la pericolosità?

“Da una parte è migliorato il quadro conoscitivo e dall’altro abbiamo avuto una serie di eventi estremi non indifferenti. Ci sono infatti regioni italiane che portano avanti attività per migliorare il quadro conoscitivo del dissesto idrogeologico perché sappiamo che il pianeta cambia. Mentre nell’ultimo triennio abbiamo assistito a una serie di eventi estremi non trascurabile, come le alluvioni in Emilia-Romagna o le colate di fango e detriti sull’isola di Ischia che hanno causato diverse morti”.

Quanto ci costano i disastri?

“Stime di realtà indipendenti affermano che la spesa per ristabilire la normalità post-emergenza si aggira su qualche miliardo all’anno. In base ai dati del Repertorio nazionale degli interventi finanziati per la difesa del suolo (ReNDiS), la piattaforma dell’Ispra sugli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico, negli ultimi 25 anni sono stati spesi 19,2 miliardi per 26mila interventi censiti in tutta Italia. Spesso conviene investire in prevenzione rispetto a dover riparare i danni”.

C’è una correlazione tra il cambiamento climatico e i disastri naturali?

“Il cambiamento climatico è un fenomeno importante e ci vuole tempo per capirne gli effetti, quello che riscontriamo negli ultimi anni è una tendenza alla diminuzione delle piogge su base media annua e una distribuzione delle precipitazioni in un intervallo di tempo sempre più ristretto. Piove pressoché la stessa quantità d’acqua ogni anno ma in poche ore o pochi giorni. A parità di pioggia quindi gli eventi sono molto più intensi, l’acqua non s’infiltra nel terreno, scorre in superficie così gonfia i fiumi o innesca le frane. Un’altra cosa, notiamo che sulle vette delle Alpi lo zero termico, cioè il livello a cui la temperatura dell’aria è zero gradi, è sempre più in alto. Così i ghiacciai si sciolgono e si degrada il permafrost, il ghiaccio perenne, causando distacchi di roccia”.

L’Italia è un Paese “pericoloso”?

“Solitamente tendiamo a confondere la pericolosità e il rischio, ma non sono sinonimi. Per i tecnici il rischio è il prodotto della prima con l’esposizione. Sicuramente l’Italia è un paese pericoloso, come lo è ogni parte del pianeta, ma non vuole dire che è impossibile viverci. Bisogna gestire il rischio abbassando la probabilità che un evento si verifichi, realizzando argini dei fiumi o utilizzando sostegni paramassi, altrimenti alta agiamo sull’esposizione al rischio, per esempio non costruendo vicino all’alveo di un corso d’acqua o sotto una frana attiva. Il ‘rischio zero’ non esiste perché ci sarà sempre una percentuale di pericolosità o di esposizione, ma non è una cattiva notizia: dobbiamo saper convivere con i rischi”.

Uno focus del vostro rapporto sono le frane…

“Il 23% del territorio nazionale, pari a 70mila chilometri quadrati, ricade in aree di pericolosità. Tutte le regioni – in particolare lungo le catene montuose, sono coinvolte da questo fenomeno, uno spostamento di cospicue masse di diversi materiali, che possono essere terra, fango, roccia, detriti. L’Italia è all’avanguardia sul tema frane, tanto che l’ultimo grande congresso internazionale sulle frane si è svolto a Firenze”.

Negli ultimi anni le alluvioni hanno fatto, purtroppo, notizia per la frequenza, i danni e le vittime. Come mettersi in sicurezza?

“Innanzitutto, adottare le buone pratiche e non correre rischi, come non scendere in garage per mettere a riparo l’automobile. L’opera più importante è comunque la manutenzione per garantire la funzionalità delle infrastrutture del territorio, pulendo tombini e canali di scolo”.

Il vostro studio contiene anche una buona notizia: diminuisce l’erosione costiera. Come si è invertita la tendenza?

“Rispetto a quando si prelevavano molti materiali per costruire dall’alveo dei fiumi, oggi i corsi d’acqua portano al mare più sedimenti, che formano le spiagge. Sembra ci siano trenta chilometri di costa che avanza in più rispetto a quella che regredisce, pensiamo per i benefici del ripascimento e delle opere di protezione”.

Come ridurre i rischi?

“Suddividiamo la prevenzione in strutturale e non strutturale, la prima in capo al governo, alle istituzioni e agli enti locali. Noi ci impegniamo sulla seconda, i piani di Protezione civile aggiornati che raggiungono il cittadino indicandogli quali sono i comportamenti corretti da tenere. La conoscenza del territorio da parte del singolo cittadino è fondamentale, la chiave per ridurre i rischi. La piattaforma web dell’Ispra idroGEO indica quali aree del Paese sono soggette alluvioni, frane e valanghe: si può realizzare uno strumento user-friendly. L’intelligenza artificiale ci aiuta a trattare i dati, ma prima di tutto serve l’intelligenza naturale”.

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