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Sos per una separazione che penalizza l’India

L'arcivescovo Neli: "Il Manipur ferito ha bisogno di un processo di guarigione e riconciliazione"

India

Allarme India. “La popolazione del Manipur è ferita dal conflitto, è divisa e da due anni vive  in aree separate“, dichiara all’agenzia missionaria vaticana Fides monsignor Linus Neli, arcivescovo di Imphal, capitale dello stato nel Nordest dell’India. Aggiunge il presule: “Oltre 50mila persone, dei gruppi etnici Kuki e Meitei, soffrono in campi profughi. E con le piogge la loro condizione è peggiorata. La soluzione non può che partire da un processo di guarigione e riconciliazione ed è una soluzione da pensare sul medio o lungo  termine“. Da undici anni Narendra Modi è il primo ministro dell’India.  “Modi – osserva l’arcivescovo- ha parlato ai due gruppi separatamente, ha fatto promesse soprattutto di benessere economico, ha portato un pacchetto di aiuti economici”. Ma non ha toccato i nodi principali come “il rapporto tra i gruppi in lotta, l’odio, l’urgenza di ricostruire la disposizione interiore, e comunitaria, alla pace“.

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NARENDRA MODI PRIMO MINISTRO DELL’INDIA – Foto © Ufficio Imagoeconomica

Allarme India

“Attualmente – spiega monsignor Neli – la gestione della crisi in Manipur è in mano ai militari. L’esercito tiene separate le popolazioni che si sono scontrate, controlla il territorio e garantisce la sicurezza. E’ un modo per prevenire altri disordini e violenze,  ma non è una via di risoluzione. La situazione sul terreno è bloccata. E le ferite rimangono, se nessuno si adopera per sanarle”. Prosegue il presule: “E’ necessaria una volontà politica che porti avanti un serio processo di  riconciliazione per ripristinare una pacifica convivenza tra i due gruppi. Ci vuole la buona volontà delle due parti e anche l’azione mediatrice delle autorità politiche, statali e federali“, osserva. “La riconciliazione è possibile se si affrontano con franchezza le questioni in ballo  secondo criteri di equità e giustizia, superando steccati e polarizzazioni: questo è il compito della buona politica”. E, conclude l’arcivescovo, “come Chiesa cattolica siamo presenti con fedeli in entrambe le comunità,  sia tra i Kuki, sia tra i Meitei. Continuiamo a dare  aiuti umanitari ai profughi e promuoviamo  incontri interculturali e  interreligiosi, tessendo la tela della pace e della convivenza. Cerchiamo di agire da ponte e avviare un processo di guarigione e riconciliazione“.

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