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“Odofobia”: cause, ripercussioni e strategie di uscita

Le numerose comodità tecnologiche che alimentano sicurezza, rendono l’essere umano meno tollerante verso l’avventura, il rischio, l’imprevisto

Foto di Clay Banks su Unsplash

L’“odofobia” (“travel stress” per gli inglesi), dai termini greci “odos” (viaggio) e “phóbos” (paura) consiste nell’angoscia, molto attuale e diffusa ovunque, di visitare luoghi, di allontanarsi da una zona e una condizione di comfort per giungere in una ignota, pericolosa e insidiosa. Non si tratta della semplice preoccupazione di dimenticare qualche oggetto a casa e non poterne usufruire. L’odofobia nasce da una paura irrazionale, tarpante ed evitante, con ripercussioni individuali e collettive. Il paradosso risiede nel fatto che un evento piacevole come dovrebbe essere quello del viaggio sia, invece, un’occasione di tensione, paura ed evitamento. Fra le caratteristiche del disturbo vi è quella di colpire sia il potenziale viaggiatore singolo sia quello che si muove in compagnia.

L’ansia deriva dalla paura di lasciare i propri cari e immaginare circostanze disastrose nonché dai pericoli connessi al tragitto stesso. In alcuni casi, questa fobia nasce per eventi traumatici vissuti nel passato che lasciano fastidiose scorie. L’odofobia presenta comorbilità con altri disturbi ansiosi. Tra questi l’agorafobia: l’individuo agisce verso la massima sicurezza, per evitare o ridurre le conseguenze di un attacco di panico, sfuggendo luoghi sconosciuti, spazi aperti o che obbligano a costrizione fisica/psicologica, cercando, altresì, di non trovarsi nel mezzo di una folla. Il travel stress dà luogo a conseguenze di tipo cardiorespiratorio, gastrointestinale e vestibolare.

Il fenomeno si verifica, per alcuni, anche nei piccoli spostamenti, a esempio dalla casa in ufficio, in cui il fatto stesso di abbandonare, per poche ore, la sicurezza e la comodità domestica (sempre più sostenuta da una società sedentaria, fra divani, pc e tv) rappresenta un problema. L’estate, la stagione deputata, in Italia, alle ferie e alle vacanze, è quella che risente particolarmente dell’odofobia. Paradossalmente, il periodo che dovrebbe costituire una pausa di sano relax, rappresenta, invece, un trampolino verso il terrore, soprattutto nel caso in cui, per non scontentare familiari e amici, si affronta il viaggio pur soffrendo. Chi ne è afflitto, perde l’occasione di viaggiare e di crescere, culturalmente e umanamente, rischiando, di contro, un pericoloso isolamento sociale. Questo disagio, difatti, ha delle ripercussioni sociali poiché rischia di incrinare le relazioni di ogni tipo: quelle tra familiari, amici, di natura sentimentale e anche lavorativa. La vergogna provata nel dimostrare paura e nel rinunciare a spostarsi è un altro aspetto limitante, poiché l’odofobico è consapevole di come il prossimo giudichi bizzarro e stolto il problema. Rendersi conto di come esista qualcuno che riesca a viaggiare senza alcun timore, rende il sofferente ancora più isolato.

Papa Francesco, il 2 ottobre scorso scrisse “Non turisti né girovaghi: non ci spostiamo a caso, esistenzialmente parlando. Siamo pellegrini. Il pellegrino vive il suo camminare all’insegna di tre parole-chiave: il rischio, la fatica, la meta. […] Camminare come pellegrini significa che abbiamo un approdo, che il nostro spostarci ha una direzione, un traguardo. Camminare significa avere una meta, non essere alla mercé del caso: chi cammina ha una direzione, non gira a vuoto, sa dove andare, non perde tempo zigzagando da una parte all’altra. Per questo ho più volte richiamato quanto siano affini l’atto del camminare e l’essere credenti: quanti hanno Dio nel cuore hanno ricevuto il dono di una stella polare verso cui tendere – l’amore che abbiamo ricevuto da Dio è motivo dell’amore che dobbiamo offrire alle altre persone”.

Andrea Bocconi, psicoterapeuta, è l’autore del volume “Viaggiare e non partire”, pubblicato da “Ediciclo” nel maggio 2024. Parte dell’estratto recita “Si può viaggiare in tanti modi: c’è chi viaggia sempre e non parte mai; c’è chi parte e va lontano senza bisogno di viaggiare; c’è chi parte e viaggia e c’è chi non parte e non viaggia. Viaggiare e non partire è dedicato a tutti coloro che viaggiano, fisicamente o solo con la fantasia. Un libro in cui si trovano consigli, riflessioni, massime, esperienze dei viaggi più disparati”.

Lo psicologo Marco Magliozzi, nel gennaio 2024, al link https://www.marcomagliozzi.it/odofobia-paura-viaggiare-psicologo-bari/, scriveva che la fobia “colpisce un essere umano su 23, e questo dato la annovera tra le fobie più comuni e diffuse”. Nel 2017, centrowelcomed.it, al link https://www.centrowelcomed.it/paura-viaggiare-la-vacanza-non-fonte-di-relax/, affermava “La paura di viaggiare è un disturbo molto più diffuso di quanto possiamo pensare. Il 2% delle persone vive l’arrivo delle vacanze con un senso di angoscia e non di relax, e spesso rinuncia a partire”. La nuova edizione dell’Osservatorio EY Future Travel Behaviours, pubblicata il 14 aprile scorso, al link https://www.ey.com/it_it/newsroom/2025/04/osservatorio-ey-piu-del-90-degli-italiani-pronti-a-viaggiare-nel-2025, precisava “Quasi la metà (48%) degli italiani è interessata a combinare vacanza e lavoro nei propri viaggi, con una crescita significativa tra i Millennials e la Generazione Z. L’overtourism influenza le scelte, con il 42% dei viaggiatori che pianifica viaggi durante la bassa stagione per evitare il sovraffollamento. Il 66% della Generazione Z è propenso a usare soluzioni di Intelligenza Artificiale (AI) per pianificare i propri viaggi ed è tra le generazioni più attente (38%) alla sostenibilità. […] Le intenzioni di viaggio per il 2025 si mantengono sostanzialmente in linea con quelle del 2024, rivelando un continuo interesse a viaggiare. Ben 9 italiani su 10 hanno in programma almeno un viaggio di vacanza, con il 60% che prevede di andare all’estero in Europa e il 30% che mira a destinazioni oltre il continente. Relativamente ai mezzi di trasporto, a livello europeo, l’automobile e la moto si confermano i mezzi più utilizzati per i viaggi di vacanza, seguito dall’aereo e dal treno. In Italia, il 70% utilizza l’auto per i viaggi di vacanza, mentre il 57% utilizza il treno per i viaggi di lavoro”.

La propria “comfort zone” (come si usa dire oggi) rappresenta una potenziale sicurezza che, se non elimina il rischio, quantomeno lo riduce o assicura maggiormente l’individuo. Il viaggio, invece, rappresenta un’uscita dal “grembo materno”, dalla zona di comodo e presenta, inevitabilmente, degli aspetti sconosciuti. Per alcuni, questi sono proprio il sale della trasferta, per altri, al contrario, rappresentano rischi e contrattempi, sia a livello fisico sia a livello burocratico, logistico e, nelle località più lontane, comunicativo.

L’esigenza di certezza cui l’essere umano anela sempre di più, contornato da tecnologia e comodità di vario tipo, rappresenta una condizione a cui non si può e non si vuol rinunciare. L’imprevisto esistenziale è sempre meno tollerato. Anche l’agio di un “navigatore” in automobile, che conduce l’individuo dal luogo di partenza a quello di arrivo, rappresenta una componente (apparente) di serenità: è sufficiente una perdita di connessione dal segnale internet, per trovarsi in un marasma.

Un’eccessiva pianificazione della vacanza, anziché fornire un punto d’appoggio e di sicurezza, può determinare un’ansia legata alla reale possibilità di seguire, pedissequamente, il piano, con il rischio di fallire e pagarne le conseguenze. La programmazione potrebbe costituire un ulteriore elemento stressogeno che certificherebbe il disagio. Un eventuale ostacolo, infine, produrrebbe effetti negativi in crescendo, lasciando il malcapitato alle prese con ulteriore incertezza.

Il disturbo è invalidante poiché, nei casi più gravi, impedisce il movimento, il viaggio; preclude, quindi, una delle esperienze più formative e di arricchimento della persona, in grado di apprezzare storia, architetture, costruzioni, musei, tradizioni e cibi. Impone, infatti, a che ne soffre, una mobilità esigua, confinata nel proprio spazio di sicurezza, chiuso alla multicultura, al plurilinguismo, alla conoscenza del prossimo, anche quello più lontano e, a volte, più “diverso” nello stile di vita (ma sempre in grado di insegnare qualcosa).

Riflette, in molte circostanze, la paura dell’altro, del diverso e costringe il singolo a chiudersi ermeticamente nei riguardi del prossimo, evitando dialogo e confronto con altre culture. I rimedi, medici, farmaceutici, psicologici e psicoterapeutici, sono proposti dai professionisti del settore e, in parte, presenti nel web. La prima cura, tuttavia, potrebbe essere quella di aprirsi all’alterità, a quel prossimo ancora più diverso, al quale approcciare con fiducia, senza pregiudizi, consapevoli di come la comprensione sia possibile, oltre gli steccati che una lingua diversa possa paventare.

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