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Inverno: “Consapevolezza ed educazione per contrastare il lavoro minorile”

La responsabile politiche infanzia e adolescenza di Save the Children Italia Antonella Inverno, nella Giornata internazionale contro il lavoro minorile, spiega i dettagli dello sfruttamento dei minori nel nostro Paese

Nell'immagine: a sinistra foto di Rashed Rana da Pixabay, a destra Antonella Inverno di Save the Children Italia (foto Francesco Alesi)

“Lavorare in età precoce fa male ai percorsi scolastici e ai percorsi di vita”. A parlare è la responsabile delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza Italia-Eu di Save the Children Italia, Antonella Inverno. L’esperta, giurista specializzata nei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è stata interpellata da Interris.it in occasione della Giornata internazionale contro il lavoro minorile. Una piaga, quella dello sfruttamento di bambini e ragazzi, che colpisce quasi un minorenne su dieci a livello mondiale e oltre 336mila 7-15enni nel nostro Paese, coinvolti in esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali. Una violazione grave dei loro diritti, con possibili effetti negativi sul loro benessere psicofisico e sul loro futuro, visto che il lavoro minorile può interferire sull’educazione e sulla formazione, col rischio di trovarsi da adulti a svolgere mansioni poco qualificate e scarsamente retribuite.

Lavori vecchi e nuovi

In Italia l’età minima per lavorare è 16 anni, ma secondo il rapporto “Non è un gioco” di Save The Children Italia, 58mila adolescenti tra i 14 e i 15 anni sono stati o sono impegnati in attività lavorative continuative, pericolose per la salute o a detrimento della loro istruzione. “Dalla nostra indagine sono emerse tante storie, dal lavoro nei mercati ortofrutticoli a sollevare carichi troppo pesanti fino a turni massacranti nei campi o nei cantieri”, spiega Inverno, “mentre uno su quattro è impiegato nella ristorazione o in attività commerciali”. Una novità è rappresentata dalle recenti forme di lavoro online. “Riguardano un ragazzo su venti, spesso acquistano e rivendono beni o producono contenuti”, illustra l’esperta, aggiungendo che “non tutto è sul crinale tra legale e illegale”.

Chi sono e dove sono

Lo studio risponde anche alle domande se il lavoro minorile colpisca di più i ragazzi o le ragazze, se chi ha o meno la cittadinanza italiana, e dove il fenomeno è diffuso, lungo la Penisola. A livello quantitativo dall’indagine non risaltano particolari differenze nell’incidenza tra maschi e femmine e tra minorenni con o senza cittadinanza italiana, Inverno riferisce però come “le ragazze siano maggiormente coinvolte in lavori di cura, non retribuiti, per più ore al giorno, più giorni alla settimana, e nei servizi alla persona, come il bar o il ristorante di famiglia, mentre i ragazzi stranieri sono prevalentemente impegnati nelle campagne, nei cantieri e nei mercati di frutta e verdura”. Riguardo alla loro distribuzione lungo la Penisola, interessa tutto il Paese, pur con caratteristiche diverse. “Nel Nord Est osserviamo il lavoro stagionale nelle aziende di famiglia, mentre in centri come Milano e Torino abbiamo un forte sfruttamento di minori migranti di seconda generazione”, sottolinea Inverno.

Sfiducia

Viste le cifre della povertà in Italia, che vedono un minorenne su quattro in condizione di indigenza, viene da chiedersi se questa condizione sia una delle cause del fenomeno. “Una quota di ragazzi racconta di voler dare una mano alla famiglia, cercando almeno di pagare le proprie spese personali, ma non abbiamo rilevato un nesso causale”, spiega la responsabile dell’associazione. In molti casi emerge invece sfiducia verso il mondo dell’istruzione. “C’è una correlazione molto forte tra chi ha avuto un’esperienza di lavoro precoce e percorsi scolastici più accidentati. Pensano che gli insegni di più un’esperienza lavorativa da giovanissimi che la scuola, ma così rimangono incastrati in lavori sottopagati o poco qualificati, col rischio di nuove occasioni di sfruttamento in futuro”. Il tempo che le attività lavorative sottraggono alla frequenza e allo studio può tradursi in competenze inadeguate alla fine del ciclo di studi o in vero e proprio abbandono scolastico.

Microcriminalità

Il disagio sociale gioca a sua volta un ruolo. “Da un approfondimento svolto insieme al Dipartimento di giustizia minorile è emersa una correlazione abbastanza forte tra esperienze lavorative precoci e la commissione di reati, come se la microcriminalità facesse immaginare un guadagno più facile rispetto ad altre forme di sfruttamento”, continua Inverno.

Cosa fare

Come evitare che i più vulnerabili cadano nella trappola dello sfruttamento? “Serve un’informazione capillare che raggiunga i minorenni e li renda consapevoli dei loro diritti e fornisca loro conoscenze come, per esempio, che per lavorare serve un contratto di lavoro”, spiega l’esperta. “Sono necessari piani di sostegno all’istruzione personalizzati per chi è a rischio di interrompere il proprio percorso scolastico e infine una maggiore capacità di fare rete tra i servizi di ispezione e quelli di presa in carico per un intervento integrato su fragilità”, conclude Inverno.

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