“Perché loro e non io?”. Ogni anno il 20 giugno ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato e questa domanda personale dovrebbe accompagnare l’ appuntamento istituito dalle Nazioni Unite per riconoscere la forza, il coraggio e la determinazione di milioni di persone nel mondo costrette a fuggire a causa di guerre, violenza, persecuzioni e violazioni dei diritti. Si tratta di sorelle e fratelli diversi da noi soltanto per essere nati in zone del mondo nelle quali non possono restare.
Presentandosi agli ambasciatori in Vaticano Leone XIV si è definito un “cittadino discendente di immigrati e a sua volta emigrato”. Parole sincere e dirette che risuonano ancora più illuminanti nell’odierna ricorrenza: “La mia stessa esperienza di vita, sviluppatasi tra Nord America, Sud America ed Europa, è rappresentativa dell’aspirazione a travalicare i confini per incontrare persone e culture diverse“. Quindi “ciascuno di noi, nel corso della vita, si può ritrovare in patria o immigrato in terra straniera. La sua dignità però rimane sempre la stessa, quella di creatura voluta e amata da Dio“.
Nel richiamo all’enciclica sociale “Rerum Novarum” trova sostanza l’appello papale a “porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti e Paesi”. La bolla di indizione del Giubileo ci sprona a “diventare segno efficace dell’agire del Padre”. E’ l’immagine delle braccia che si aprono e si stringono perché chiunque sappia di essere amato come figlio e si senta “a casa” nell’unica famiglia umana. In tal modo, la premura paterna di Dio è sollecita verso tutti, come fa il pastore con il gregge, ma è particolarmente sensibile alle necessità della pecora ferita, stanca o malata.
Gesù Cristo ci ha parlato così del Padre, per dire che Egli si china sull’uomo piagato dalla miseria fisica o morale e, quanto più si aggravano le sue condizioni, tanto più si rivela l’efficacia della divina misericordia. In piena continuità nella successione dei pontificati, il Magistero identifica nei migranti e nei rifugiati dei compagni di viaggio speciali, da amare e curare perché solo camminando insieme potremo andare lontano e raggiungere la meta comune. La Santa Sede e le organizzazioni sovranazionali come l’Onu concordano nel ritenere la complessità del fenomeno dei flussi migratori una questione che riguarda tutti, e non solo coloro che partono. Un impegno di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità, per fare della migrazione una scelta davvero libera.
Serve infatti un maggiore sforzo congiunto dell’intera comunità internazionale per garantire un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale. Sappiamo bene ascoltando i racconti di chi rischia la vita per attraversare deserti e mari in balia di predoni e trafficanti di esseri umani che spesso emigrare non è una libera scelta, ma l’unica scelta. Già Francesco insegnava che in ogni migrante c’è “Cristo che bussa alla nostra porta” e invocava il “diritto a non emigrare”, cioè la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra.
Il più delle volte, invece, i migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Conflitti, crisi climatica, insicurezza alimentare costringono oltre 120 milioni di persone a lasciare le proprie case per cercare sicurezza e protezione. La quotidiana lotta per la sopravvivenza riguarda il Sudan, l’Etiopia, la Repubblica Democratica del Congo, il Ciad e decine di altri paesi dove si sta consumando una devastante crisi umanitaria.
E’ nostro dovere morale, quali uomini e donne di buona volontà, riconoscere i rifugiati come risorse preziose per le comunità di accoglienza. L’odierna ricorrenza rappresenta una preziosa occasione per difendere il diritto a cercare sicurezza e protezione, promuovendo l’inclusione economica e sociale di chi cerca un nuovo inizio. Con il giusto supporto le persone rifugiate possono contribuire in modo significativo all’innovazione, allo sviluppo economico e alla costruzione di società più inclusive.
Dalla mia lunga esperienza accanto al Servo di Dio don Oreste Benzi ho imparato ad avere il massimo rispetto per la dignità di ogni migrante, così da accompagnare nel miglior modo i flussi, costruendo ponti e non muri, contribuendo ad ampliare i canali per una migrazione sicura e regolare. Senza lasciare fuori nessuno perché non siamo mai stranieri su questa terra.

