“Avete avuto e avrete sovrani più saggi e potenti. Ma non ne avrete che vi amino più di me”. Una traduzione non letterale, forse, ma sostanzialmente disse questo, Elisabetta I, ai 141 membri della Camera dei Comuni al culmine del suo ultimo discorso al Parlamento. Il Golden Speech, il “Discorso d’oro”, congedo ideale della regina dalla classe politica e, in qualche modo, dal Paese stesso, sedici mesi prima della sua morte. Non era mai accaduto che un sovrano (anzi, una sovrana) avesse contribuito in modo tale all’ascesa del proprio regno e del proprio popolo da far attribuire a un’epoca il suo stesso nome. Un’attribuzione ideale, difficilmente inquadrabile in un periodo preciso, né tantomeno definibile con i soli anni di regno. Eppure, Elisabetta I inaugurò una sorta di tradizione che il Regno Unito avrebbe proseguito, in fasi storiche diverse, con altre due sovrane. Entrambe, a loro modo, guide del Paese in due differenti momenti di ingresso nell’epoca moderna. Da Vittoria, regina per buona parte del lungo Ottocento e, come Bessie, timoniera di un florido sviluppo, fino a un’altra Elisabetta, figura chiave nel passaggio di consegne tra l’epoca del disastro sancito dalla Seconda guerra mondiale e l’ingresso definitivo nella società globale.
Un Paese orfano
Come le due illustri predecessore, a Elisabetta II è spettato il compito di assumere la guida del Regno Unito per un lungo periodo di tempo. Un frammento appena per la Storia ma, per i britannici (e per la società europea del Novecento), una vera e propria fase epocale, lunga abbastanza da imprimere la sua figura nell’immaginario collettivo di almeno tre generazioni di inglesi (e non solo). Niente di strano che, all’indomani della sua scomparsa, l’8 settembre 2022, il suo popolo si sentisse orfano, come accade nel 1603 con la morte della prima regina Elisabetta. L’avvicendamento con il (quasi) eterno principe Carlo, che tanto attese, come il prozio Edoardo VII, per salire al trono, non ha costituito un vero e proprio passaggio di epoche. Del resto, nei settant’anni di regno di sua madre, Carlo regalato spunti di innovazione, interessi per tematiche sensibili e che sarebbero divenute importanti nel corso del tempo, restando tuttavia legato all’immagine tradizionale della famiglia Windsor. Quella più antica, formale, meno prossima alla modernità di quanto non sarebbe stato, probabilmente, con suo figlio William.
Due anni senza Elisabetta II
A due anni dalla scomparsa di Elisabetta II, il Regno Unito vive una fase di assestamento. Archiviata ormai definitivamente la Brexit e, con lei, dodici anni di governi Tory, il nuovo corso politico sembra assorbire su di sé l’attenzione globale, se non altro per capire cosa ne sarà, realmente, della Gran Bretagna post-Europa. E il primo periodo di Carlo come sovrano, ha finito per somigliare vagamente a quello che sua madre visse un trentennio fa, nel corso dei turbolenti anni Novanta e dell’Inghilterra del blairismo: “Quello appena trascorso – ha spiegato a Interris.it da Valentina Villa, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – è stato uno degli anni più difficoltosi della monarchia, quasi come il 1992. Eppure, al di là degli strascichi dell’allontanamento di Harry, unitamente alle malattie del re e della duchessa Kate, c’è un messaggio di speranza. Carlo III, infatti, sembra aver preso dalla madre il senso del dovere e dell’impegno. Al di là delle questioni mediche, possiamo pensare che la monarchia è salda e che Carlo sia un monarca degno di sua madre: impegnato, conciliante, solido”.
La componente familiare
Di sicuro, come nel 1992 (e negli anni immediatamente successivi), le sfide sono molte. “Quel periodo fu caratterizzato da grandi scandali ma anche dall’episodio dell’incendio di Windsor che, a partire dal 1993, portò la regina a iniziato il pagamento delle tasse, a seguito dello scandalo dei costi di ristrutturazione che sarebbero gravati sul popolo britannico. Da questo punto di vista, le dinamiche familiari degli Windsor, sono meno eclatanti rispetto a quelle dell’epoca ma ci sono numerose questioni ancora aperte, dal principe Andrea a Harry, che ha portato in piazza le fragilità familiari. Le questioni sono diverse ma, comunque, c’è anche in questo caso una forte componente interna alla famiglia”. Una fase transitoria che, tuttavia, non è nuova alla monarchia britannica. In qualche modo preparata a questo come lo è il popolo stesso, troppo legato alla propria tradizione per pensare realmente di poter essere un Paese diverso.