Basta così poco per morire in Italia?

Molti si stanno chiedendo come si possa essere arrivati ad uccidere a bastonate e in pieno centro una persona davanti ad altre che stavano passeggiando. Quello che spaventa di questa situazione tanto orribile è che potrebbe verificarsi ancora. Così come il precedente avvenuto a Fermo e a Macerata quando la persona identificata e condannata che sta scontando la pena in carcere solo qualche anno fa ha sparato numerosi colpi di pistola da una macchina in corsa verso persone di colore che solo per miracolo non ha ucciso. Questa volta il morto c’è stato, ucciso anche dalla indifferenza di chi gli stava accanto. Ho letto che c’erano persone che hanno assistito all’omicidio.

E ho visto le immagini di chi anziché intervenire in suo soccorso ha filmato la scena. Magari per pubblicarla su Tik Tok alla ricerca di like. Una scena talmente violenta che è difficile immaginare e, peggio, vedere. Ma dov’era chi sarebbe dovuto intervenire? Possibile che non ci fosse nemmeno una pattuglia delle Forze dell’Ordine in servizio di prevenzione e vigilanza? Ma non erano le Marche l’isola felice? Quella ove i Sindacati di Polizia vengono azzittiti dal Ministro che anziché aumentare il numero del personale delle questure lo diminuisce, riducendo il capoluogo di Regione, Ancona, a Questura di serie C? E che sta accadendo al sentimento dei cittadini marchigiani? Ci chiediamo: come si fa a non intervenire vedendo uccidere un uomo? Forse se si fosse trattato di un cane qualcuno sarebbe intervenuto, ma era un uomo. La verità è che la gente ha paura è che girano troppi pazzi in giro e troppi coltelli.

Mentre in una domenica di sole mi stanno attraversando la mente questi pensieri un venditore abusivo si avvicina al mio ombrellone e mi chiede: “Vuoi telo?” Ne ho tantissimi a casa di teli, diversi per colore. Alcuni bianchi, bellissimi, li ho acquistati anni fa in Africa e li ho usati come pareo quando bambini felici dagli occhioni neri mi urlavano “Giambo!” mentre passeggiavo sulla spiaggia di Watamu. Ho guardato il venditore con i tanti teli sulle spalle, sudato sotto il sole e gli ho chiesto: “Quanto costa il tuo telo?” E lui pensando di trattare come d’uso in Africa, e forse anche in Italia, mi ha risposto: “20 euro”. Ed io: “Bene. Prezzo onesto, lo compro”. Poi si è seduto accanto a me per riposarsi e mi ha detto: “Sono ore che cammino e non avevo venduto niente”. Una bella signora bionda che sedeva sotto un ombrellone accanto al mio ha sorriso. Mia moglie ha assistito alla scena e poi ha commentato: “Hai fatto bene. Non so cosa farai di quel telo ma hai fatto bene”. E ho sentito in quel momento di amarla ancora di più.

Ora leggo che l’assassino in carcere piange e chiede “scusa”. Scusa, per aver ucciso un uomo, un marito, un padre, un poveraccio che per vendere quattro calzini aveva camminato chilometri e che forse lo aveva infastidito. Scusa, come quando per errore pesti il piede ad una persona sul filobus. Tanto basta per morire in Italia? Che strano Paese è diventato il nostro. Vediamo scorrere in TV le immagini della vittima, il pestaggio, la morte. Ed il volto addolorato della moglie. Come non condividere le sue parole: “Perché in TV le immagini di mio marito che muore e non il volto dell’assassino?”. Mi chiedo quanta disperazione e disagio mentale in questo insano gesto.

Dov’è tuo fratello? In una società in cui anche la parola “fratello” sta perdendo valore dovremmo recuperare forse una ragione di vita nelle piccole cose, nel creato, in tutte le sue creature come dono di un Essere superiore che ci vuole felici. Ieri con mia moglie e mio figlio per un quarto d’ora ho ammirato un’upupa che saltellava in giardino. Così bella con il suo ciuffetto di piume colorate. Ma noi questo mondo siamo proprio sicuri di meritarlo? Dov’è mio fratello? Oggi è diventato difficile rispondere. Forse mio fratello era quel poveraccio, dalla pelle diversa dalla mia, lasciato a terra morto in una stupida, assurda lite o forse è quel venditore di teli o di cappelli che sudato, se si avvicina troppo, ti infastidisce. Forse solo se riuscissimo a guardare in modo diverso quelli che ci tendono la mano potremmo rispondere a questa domanda.

E comunque se vogliamo risolvere il problema immigrazione dovremmo trattare il tema in maniera asettica e scevra da condizionamenti politici. Oggi si fa una gran confusione tra accoglienza e assistenza, tra migranti economici e migranti che scappano dalla guerra. Assistere il migrante economico da parte di un Paese che ha oltre 6 milioni di poveri che, questo inverno, ne sono certo saliranno, non è possibile e non è realizzabile. L’assistenza non può che essere provvisoria e limitata; ben diverso il caso del migrante che scappa dalla guerra, che deve essere accolto e istruito per diventare cittadino italiano perché non potrà più rientrare nel suo Paese. Questo migrante va immesso in un circuito ben definito che prevede assistenza, istruzione, inserimento nel tessuto sociale, alla pari del cittadino italiano. Ammassare i migranti economici nei CIE, davanti alle questure e davanti alle Prefetture, abbandonati sui materassi, significa trasmettere un messaggio di inciviltà di cui ogni sbandato approfitterà, favorito e usato da associazioni criminali che operano sulla tratta delle persone.

Se vogliamo che le nostre strade non diventino come quelle del far west, ove ognuno si sente in diritto di essere lo sceriffo, vanno inasprite le sanzioni per ogni forma di razzismo anche verbale ma la presenza delle Forze dell’Ordine deve essere garantita in ogni città, non sull’onda dell’emergenza ma pianificata. Non ci sono più oasi privilegiate nel nostro Paese protette dalla criminalità. Questa è l’amara realtà.