Uso di cannabis tra i giovani, Prucher: “Scendere dalla cattedra per informare i ragazzi”

L’intervista di Interris.it al chimico e tossicologo forense Daniele Prucher, dirigente chimico presso l’azienda sanitaria Usl8 di Arezzo

Recentemente l’autorità europea che si occupa del monitoraggio sulle droghe e sulle tossicodipendenza ha pubblicato l’European Monitoring Center for Drugs and Drug Addiction (Emccda), con i riferimento ai dati del 2020. Dall’indagine dell’agenzia con sede a Lisbona emerge che 27,2% della popolazione ha fatto uso di cannabis e che il nostro Paese detiene un primato: quello dei casi di ragazzi che hanno fumato cannabis per la prima volta a 13 anni, o anche prima. Si tratta di circa 66mila giovani, ovvero il 4,4% della popolazione italiana in questa fascia di età. L’argomento cannabis è inoltre tornato d’attualità negli ultimi tempi in seguito alla pronuncia di inammissibilità, da parte della Corte costituzionale italiana, del quesito referendario sulla depenalizzazione della coltivazione di questa pianta.

L’intervista

Per approfondire questo delicato argomento,Interris.it ha intervistato il al chimico e tossicologo forense Daniele Prucher, dirigente chimico presso l’azienda sanitaria Usl8 di Arezzo.

Professore, nel nostro Paese c’è chi fuma cannabis per la prima volta a 13 anni. Cosa comporta iniziare a utilizzare questo tipo di sostanze stupefacenti così giovani?

“Per rispondere a questo, bisogna andare a vedere quali sono i processi di maturazione cerebrale di un essere umano, dalla nascita fino all’età adulta. La pericolosità dell’uso delle droghe, di qualsiasi droga, è legata al pruning, cioè allo sfoltimento del corredo sinaptico che è guidato sia dal corredo genetico che dal principio ‘ciò che non si usa viene perso’: ovvero la sopravvivenza delle sinapsi è determinata dal loro stesso utilizzo. Oggi si sa che durante il periodo dell’adolescenza le connessioni nel cervello che vengono utilizzate diventano sempre più efficienti, ma se esse non vengono esercitate a sufficienza, potrebbero non sopravvivere al processo di pruning sinaptico. Partendo da questo, ecco che quei giovani che per gioco, o ancora peggio a seguito di un disagio legato all’età, alla famiglia o alla scuola, si avvicinano alla cannabis, avranno poi in età adulta delle difficoltà cognitive e non solo. In una meta analisi del 2015, pubblicata dagli studiosi Gibbs, Wisper, Marwaha e altri sul Journal of Affective Disorder, si afferma che ‘l’uso di cannabis è associato ad un aumento del rischio di circa tre volte di nuova insorgenza di sintomi maniacali’. Inoltre, in accordo con quanto dichiarato dall’Emccda, anche nel Report Welfare e Salute 2019 redatto dalla Regione Toscana è possibile trovare che nel 2018 il 37% degli studenti intervistati dichiara di aver assunto almeno una droga nella vita e il 27% riporta di aver fatto uso di cannabis nell’ultimo anno, quindi il numero 27% ritorna come mantra anche a livello locale”.

Come si può prevenire il fenomeno tra i giovani? Quali sono i tempi e i luoghi più adatti per parlare con loro di questa problematica?

“E’ necessario dare a un giovane scopi concreti, fargli trasformare i sogni e le aspettative in azioni. Questo necessariamente comporterà una sofferenza, ma anche la soddisfazione di avercela fatta o almeno di aver provato a superare l’ostacolo. Invece in questa società c’è posto solo per chi è ‘pronto’, veloce e sicuro di sé, mentre non si accoglie chi ha qualche difficoltà o semplicemente impiega un tempo più lungo degli altri a raggiungere un risultato. Il problema è in primis sociale e psicologico, per cui reputo che sia necessario parlare con i giovani con i loro termini, entrare nella loro sfera, con la dialettica scientifica e andando nelle scuole. Scendere  dalla cattedra e farsi piccoli fra i piccoli è stato ed è il mio modus operandi oramai da diversi anni nelle scuole dell’aretino in cui i presidi mi hanno chiamato a parlare. A noi genitori è in ogni caso fatto obbligo morale di mettere i figli su una strada, anche se questa non sarà sempre in discesa”.

Lei è chimico e tossicologo, ci può spiegare se è davvero possibile fare una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti?

“No, esiste nella scienza un’unanimità pressoché assoluta che la differenza tra le droghe leggere e quelle pesanti non esiste: tutte e due le classi convergono nella tossicodipendenza. Certe sostanze danno una dipendenza non fisica ma psichica, che vuole dire che alla cessazione dell’uso subentra uno stato di malessere e di angoscia. In aggiunta, anche la canapa indiana, legalizzata in stati Usa come il Colorado, ha portato ad un esponenziale aumento dei ricoveri di urgenza in pronto soccorso per intossicazione negli adulti e perfino nei bambini ed anche negli animali di casa considerando gli svariati prodotti alimentari che la contengono, dai pasticcini ai gelati. Senza dimenticare parlare dell’incidentalità stradale e della violenza sociale”.