Inammissibile il referendum sulla depenalizzazione della cannabis, approvati 5 quesiti sulla giustizia

Il presidente della Consulta Amato: "Il referendum non era sulla cannabis. Si faceva riferimento alle cosiddette droghe pesanti"

Dopo quella relativa al referendum sull’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale inerente l’omicidio del consenziente, la Corte Costituzionale dichiara l’inammissibilità il quesito riguardante la depenalizzazione della coltivazione della cannabis. Sono approvati cinque quesiti nell’ambito giustizia, mentre è stato bocciato quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Il voto referendario si terrà in primavera, probabilmente ad aprile.

I quesiti ammessi

Si tratta dell’abolizione dell’intero Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità, uno dei decreti attuativi della cosiddetta legge Severino, che significa eliminare le norme che impediscono la partecipazione alle competizioni elettorali per il Parlamento europeo e italiano e alle elezioni regionali, provinciali e comunali di chi sia stato condannato in via definitiva per mafia, terrorismo, corruzione e altri gravi reati, mentre l’articolo 11 prevede la sospensione per gli amministratori locali dopo la condanna di primo grado per alcuni reati. Poi c’è il quesito sulla cancellazione di una parte dell’articolo 274 del codice penale, si vuole ridurre l’ambito dei reati per i quali è consentita l’applicazione delle misure cautelari, in particolare della carcerazione preventiva: via il finanziamento illecito ai partiti e via i reati puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, a meno che non ricorra il pericolo di fuga dell’indagato o di inquinamento delle prove. Un altro quesito riguarda la separazione delle funzioni dei magistrati, per non consentire più il cambio di funzioni tra giudici e pubblici ministeri nel corso della vita professionale. Ancora, la proposta di cancellazione della norma che stabilisce che ogni candidatura a Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno del potere giudiziario, va sostenuta dalle firme di almeno 25 presentatori. L’obiettivo è arrivare a candidature individuali libere, già previste nella riforma Cartabia. Infine, è stato ammesso il quesito il cui scopo è consentire agli avvocati che siedono nei Consigli giudiziari di votare anche sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. Lo prevede già la riforma della ministra Cartabia, ma solo se il Consiglio dell’Ordine abbia segnalato comportamenti scorretti da parte del magistrato che si deve valutare.

Le dichiarazioni del presidente della Consulta Giuliano Amato

Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali“, ha detto il presidente della consulta Giuliano Amato in una conferenza stampa, spiegando la bocciatura del quesito.

Il presidente amato, inoltre, nel corso della conferenza stampa, ha voluto sottolineare che “leggere o sentire chi chi ha preso al decisione non sa cosa è la sofferenza ci ha ferito ingiustamente. Il referendum non era sull’eutanasia ma sull’omicidio del consenziente – ha spiegato Amato -. L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia”.

Comitato per il no alla droga legale: soddisfazione per la decisione della Consulta

“Il Comitato per il No alla droga, presieduto dal prof. Angelo Vescovi, esprime soddisfazione la decisione della Corte Costituzionale nel giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo delle norme sulla droga. A sostegno delle sue posizioni il Comitato ha fatto pervenire nei giorni scorsi alla Consulta un’articolata memoria, e ieri il prof Mauro Ronco e l’avv. Domenico Menorello ne hanno illustrato la sintesi nella discussione orale – si legge in un comunicato diramato dal Comitato per il no alla droga legale -. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza della Corte, è ragionevole immaginare che avrà inciso il vincolo costituzionale – da noi sottolineato – nella subordinazione del legislatore in tema di disciplina degli stupefacenti a Convenzioni internazionali, e quindi nel limite costituito dall’art. 75 Cost. Poiché i promotori dell’attuale referendum pretendevano: (i) di legalizzare la coltivazione di tutte le sostanze stupefacenti, (ii) di eliminare la reclusione per tutte le condotte (diverse dalla coltivazione, che si vorrebbe del tutto lecita) riferibili alla canapa indiana, ciò confligge con la Convenzione unica sugli stupefacenti”, adottata a New York il 30 marzo 1961, e col Protocollo di emendamento della Convenzione medesima, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972. L’augurio è che ora Governo e Parlamento dedichino tempo ed energie all’intensificazione del contrasto al narcotraffico e al recupero di giovani e meno giovani dalla dipendenza dalle droghe”.