Il perimetro che disegna Draghi

© Palazzo Chigi

La politica, soprattutto quella dei tempi moderni, non è mai stata decouberteniana. Lo spirito olimpico aleggia solo sull’Olimpo, non certo nell’agone della cosa pubblica. In quella che è l’arte del possibile, spesso solo commedia dell’arte, conta ottenere risultati, segnare il punto, mantenendo solide le basi. Ecco, da questo punto di vista il premier, Mario Draghi, ogni qualvolta affronta una prova internazionale, l’ultima il Consiglio europeo straordinario, si muove sul campo come un battitore sul campo di baseball. Segue sempre la pallina per piazzare il fuori campo. E anche stavolta è andata così.

“Siamo stati accontentati”, spiega il presidente del Consiglio, visto che nel testo finale “c’è un riferimento molto esplicito al tetto sul prezzo e sul fatto che la Commissione ora ha ufficialmente avuto mandato per studiare la fattibilità del tetto sul prezzo del gas e anche su altre questioni”. Mario il battitore ha segnato il punto. Ed è un risultato significativo visto che il tema dell’approvvigionamento del combustibile rappresenta un fattore centrale per le economie del Vecchio Continente, non solo per l’Italia quindi.

Ma quella unità d’intenti, rappresentata dal premier, ha dare un senso più chiaro a ciò che si sta muovendo sullo scenario continentale. Draghi, probabilmente giocando di sponda con Macron, sta dettando l’agenda all’Europa, in particolar modo sul tema della crisi ucraina, dando però la sensazione che tutto ciò sia un processo naturale, non la risultante di lunghi ed estenuanti incontri bilaterali. Nelle fasi più critiche il lavoro delle diplomazie sotterranee è fondamentale, se non addirittura strategico. Senza di esso persino gli accordi più banali rischiano di trasformarsi in scalate dell’Everest.

Ecco, sotto questo aspetto, Draghi da l’impressione di saper governare anche i fenomeni carsici della politica, dandogli del tu, e non del lei come hanno spesso fatto i suoi predecessori. ll passaggio del petrolio russo è da manuale. “L’accordo sull’embargo al petrolio russo è stato un successo”, spiega il premier, “era impossibile immaginare di essere uniti su un embargo di circa il 90 per cento del petrolio russo solo qualche giorno fa, non era credibile un successo completo”. Per arrivare a quel risultato, spiega il premier, “si è tenuto conto della situazione specifica dell’Ungheria e della Repubblica Ceca che sono chiusi e non hanno accesso sul mare e, quindi, se interrompono il petrolio russo occorre essere sicuri di avere petrolio anche da altre fonti”. Draghi ha ricordato che in questo contesto, “si è trovata una soluzione con la Croazia”.

L’Europa, dunque, c’è. O, almeno, da questo Consiglio europeo straordinario escono dei Paesi realmente dialoganti e solidali fra loro. E, questo passaggio, dal punto di vista strettamente politico, è particolarmente significativo. Perché se uno torna a guardare il cortile italiano, è costretto, ancora una volta, a fare i conti con le inutili fibrillazioni provocate dalle fughe in avanti di alcuni leader, vedi Matteo Salvini, o con le provocazioni sterili e un po’ infantili, e qui il riferimento è ai 5 Stelle, di chi vuol distinguersi solo per certificare la propria esistenza in vita. “Il governo italiano è fermamente collocato nell’Unione europea e nel rapporto storico transatlantico, si è sempre mosso in questo binario e continua a farlo, io sono stato chiarissimo su questo. Siamo allineati coi partner del G7 e dell’Ue e non ci spostiamo da questo”, dice il premier allundendo alla possibile visita di Matteo Salvini a Mosca. Senza nemmeno citare il capo della Lega, il presidente del Consiglio chiude la pratica in modo netto e incisivo. Difficile trovare il modo per contestare il punto.

Da questo punto di vista Draghi, ma questa non è una novità, guarda alle manovre della politica italiana con quel distacco necessario per non farsi risucchiare da un vortice tentacolare, tanto inutile quanto dannoso per il Paese stesso. Oggi occorre saper guardare oltre la siepe del proprio giardino, con lo sguardo rivolto al futuro, inteso come prospettiva post crisi ucraina. “Il governo sarà vicino alle famiglie più povere e anche alle imprese”, dice il premier, “le risorse (europee, ndr) a disposizione sono i fondi rimasti del Next generation Europe, circa 200 miliardi tra prestiti e grants. Poi c’è la possibilità di usare i fondi per la coesione non utilizzati. Poi c’è il fondo ‘market stability fund’. Non ci sono nuovi stanziamenti, ci sono pero stanziamenti già decisi in passato e sono rilevanti.

Secondo me”, chiosa Draghi, “per il prossimo Consiglio europeo si arriverà ad una discussione anche su questo aspetto. Bisognerà pero essere precisi su come usare questi fondi. Ci sono molte domande su quei fondi e vari paesi che pensano di usarli, oltre a noi”. Ecco, su questo occorre lavorare e su questi aspetti le forze politiche dovranno dare una vera prova di maturità, smettendola di attaccarsi agli esami di riparazione. Perché l’agenda internazionale non fa sconti a nessuno. “Le sanzioni avranno l’impatto massimo (sull’economia russa, ndr) da questa estate in poi”, spiega il presidente del Consiglio. Dunque quello sarà il momento della prova del nove, il termine oltre il quale capiremo davvero da che parte tira il vento. Perché, secondo il perimetro disegnato da Draghi, il percorso sarà lungo, molto lungo, e il commercio internazionale dovrà essere ricostruito, ripensato. E per fare ciò ci vuole tempo e un governo stabile. E l’Italia deve concederselo.