L'India dà lezioni di civiltà: vietato l'utero in affitto

L'India vieta la barbara pratica dell’utero in affitto a scopo commerciale. Lo scorso 6 agosto, la camera bassa del parlamento indiano ha approvato un provvedimento che vieta in tutto il Paese la maternità surrogata, proprio per fermare il mercimonio del corpo delle donne e la compravendita della vita dei bambini. La nuova legge autorizza tuttavia la maternità surrogata nel caso di scelta “altruistica” (senza compenso), tra persone della stessa famiglia, e solo per le coppie di indiani sposate da almeno 5 anni e che non abbiano alcun figlio vivente.

Non è la prima volta

In realtà si tratta di un ulteriore passo in avanti nella proibizione di questa pratica nel Paese asiatico. Nel 2015 infatti la Corte Suprema aveva già vietato la gestazione per altri in favore di coppie straniere, infliggendo così il primo duro colpo ad uno dei mercati bambini più importanti del mondo. Dal 2002, quando l'utero in affitto venne autorizzato da un voto legislativo, l'India era diventata una delle principali destinazioni del turismo procreativo. Nel 2012, uno studio delle Nazioni Unite aveva stimato un giro d'affari annuale di quasi 400 milioni di dollari che corrispondeva alla nascita di circa 25 mila bambini ogni anno.

Il giro di affari

Le normativa appena approvata porta quindi alla chiusura definitiva di più di 3000 cliniche private che da quasi un ventennio prosperano in tutta l'India. Il Paese era considerato una delle mete low cost di questo mercato della maternità su committenza, con un costo che per la singola gestazione si aggirava intorno ai 35mila dollari. Una tariffa di molto inferiore rispetto, ad esempio, a quelle della California, che vanno dai 130mila dollari a salire a seconda della “qualità” della gestante e della “donatrice” dell’ovulo. Le due figure, infatti, non sono mai riconducibili alla stessa donna, proprio per evitare eventuali rivendicazioni di maternità da parte di chi porta il bambino per nove mesi in grembo.

Le violazioni dei diritti umani

Le violazioni dei diritti umani insite a questo business sono tante e tali – ricordiamo che le madri surrogate firmano contratti capestro che impongono loro perfino di abortire nel caso di un feto malformato o con malattie genetiche – che di recente anche il Messico, la Thailandia e il Nepal hanno messo fuori legge questa pratica malgrado gli ingenti interessi economici legati ad essa. In Italia la stessa Corte costituzionale con un pronunciamento del 2017 ha evidenziato che la surrogazione di maternità “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Non meno importanti sono anche le ripercussioni su quello che spesso è il grande assente dal dibattitto etico: il bambino. L’utero in affitto spezza il legame primigenio della vita tra madre e figlio. Tramite la gestazione per altri, in pratica viene programmato un bambino che sarà orfano dei suoi genitori naturali, non a seguito di una tragedia ma a causa di un capriccio egoistico di chi vuole un figlio ad ogni costo. Insomma il padre e la madre non gli sono negati da un evento drammatico ma da una scelta di puro egoismo.

Una moratoria contro l'utero in affitto

Oltre tutto di sono numerose ricerche medico-scientifiche che dimostrano che il fatto che viviamo nove mesi nell’utero di nostra madre non è un evento indifferente; c’è una comunione fisica, biologica ed emozionale che segna lo sviluppo del nascituro. Una madre non ci passa solo le sostanze per vivere, ma anche ormoni e serotonina che influenzano il nostro cervello. Il legame fetale è di fondamentale importanza. Davanti a queste evidenze è sempre più ampio il fronte delle realtà che si battono contro questa pratica. Un impegno trasversale che vede in prima linea sia le associazioni pro family e pro life di cultura cattolica, come il Family Day, sia le sigle più importanti del movimento femminista. La maggior parte di quest’ultime aderiscono alla campagna “Stop Surrogacy Now” che chiede una moratoria universale contro l’utero in affitto. Lo stesso obiettivo è perseguito anche associazioni familiari che in questo modo intendono fermare la giurisprudenza creativa dei tribunali occidentali, che sempre più spesso, anche in Italia, davanti al fatto compiuto riconoscono la genitorialità a chi ha ottenuto un figlio tramite surrogata eseguita all’estero. In quasi tutta Europa, la politica e partiti sono in gran parte contrari alla legalizzazione dell’utero in affitto (tranne alcune fronde della sinistra-progressista che ne chiedono la regolamentazione) ma finora non sono stati capaci di formulare normative che perseguano chi usufruisce della gestazione per altri all’estero. L’impegno è solo all’inizio ma la lezione indiana dice che non è impossibile fermare la mercificazione delle donne e dei bambini.