Il Braille: un’invenzione dalle antiche origini ma ancora attuale

In occasione della Giornata Mondiale dell'Alfabeto Braille, Interris.it ha intervistato Matteo Marini, presidente dell'Unione Italiana Ciechi sezione di Vicenza

Matteo Marini - Braille
A sinistra Matteo Marini. Foto di Myriams-Fotos da Pixabay

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel mondo vi siano 1.3 miliardi di persone con problemi visivi, di cui 36 milioni affette da cecità totale. Per chi vive con questo tipo di disabilità l’alfabeto braille rappresenta una grande invenzione e opportunità non solo per leggere e per scrivere, ma anche per raggiungere una piena autonomia e un’efficace integrazione nel tessuto sociale, scolastico, lavorativo e culturale.

Louis Braille

Nato il 4 gennaio del 1809 in una piccola località vicino a Parigi, a cinque anni si ferì accidentalmente nell’officina di suo padre che era un conciatore e mastro sellaio, perforandosi l’occhio sinistro con un coltello. L’infezione che ne scaturì si estese anche all’occhio destro, sicché nel giro di poco tempo diventò quasi totalmente cieco. Nonostante la sopraggiunta disabilità i suoi genitori lo incoraggiarono a studiare e lo iscrissero all’Istituto Reale dei Giovani Ciechi di Parigi, dove iniziò a pensare a un nuovo sistema di scrittura e di lettura composto da punti in rilievo. Dopo molti anni di duro lavoro il giovane Louis creò quello che noi oggi chiamiamo l’alfabeto braille, composto da 26 lettere, ognuna delle quali rappresentata da una combinazione di punti.

L’intervista

In occasione del 4 gennaio, data di nascita di Louis Braille, si celebra la Giornata Mondiale dell’Alfabeto Braille. Interris.it ha parlato dell’importanza di questo mezzo comunicativo con Matteo Marini, presidente della sezione di Vicenza dell’Unione Italiana Ciechi.

Presidente, questa invenzione ha origini lontane, ma ancora oggi è attuale. Cosa rappresenta nella vita di una persona con disabilità visiva?

“Per noi l’alfabeto braille è stata una rivoluzione che ci permette di leggere e di scrivere senza aiuti terzi. Nel corso degli ultimi anni la tecnologia ha reso possibile comunicare tramite altri strumenti digitali, ma ancora oggi il braille è il mezzo primario che viene usato nelle scuole e che noi stessi dell’unione ciechi spingiamo a conoscere e ad usare”.

Quali sono i difetti di un libro in braille?

“Sicuramente il fatto che utilizza tantissima carta, diventando per chi lo possiede molto ingombrante. Ci sono amanti della lettura e insegnanti che per raccogliere i libri acquistati hanno dovuto creare o prendere in affitto degli spazi appositi. Credo che questo sia un aspetto che ha fatto diminuire la richiesta di libri in braille, ma allo stesso tempo sono certo che come chi legge con gli occhi, anche chi legge con le dita assapora in modo diverso una lettura, rispetto a sentirla letta da qualcun altro”.

Quanto pesa il fatto che gli insegnati di sostegno non conoscono questo alfabeto?

“Molto perché a subire questa incompetenza è lo studente stesso. Si tratta di una roulette russa, in cui può capitare il docente che lo comprende o quello che non lo conosce affatto e tra questi se si è fortunati c’è anche l’insegnate che si vuole formare per essere più adeguato al compito che gli è stato assegnato”.

Nella vita quotidiana, nei supermercati o nei ristoranti, è ancora troppo poco l’usanza del braille?

“Tranne nei medicinali ad oggi gli altri prodotti non riportano etichette con il nostro alfabeto. Anni fa nel nostro territorio si è tentato di farlo per i vestiti, ma anche questo tentativo non è andato a buon fine. Per chi ha una disabilità visiva si tratterebbe di un aiuto in più, ma certamente i tempi stanno cambiando e la tecnologia e alcuni ausili portatili permettono per esempio tramite un QR la lettura di un menù al ristorante o di accedere alla spiegazione di un’opera d’arte al museo”.