Ardea, tre omicidi e un suicidio. Si poteva evitare? Interris.it ha intervistato la criminologa Flaminia Bolzan

La strage di Ardea di domenica 13 giugno che si è conclusa con quattro decessi, tra cui due bambini piccoli, pone inquietanti interrogativi sulla cura alle persone affette da patologie psichiatriche. Parla a Interris.it la psicologa e criminologa Flaminia Bolzan, già consulente della procura di Roma nel caso Varani

Nell’omicidio suicidio di Ardea, piccolo Comune di circa 50 mila abitanti che fa parte della città metropolitana di Roma capitale, occorso domenica 13 giugno verso le ore 11 del mattino, ci sono solo vittime. E il dolore di chi rimane. Quello che sappiamo di certo è che quattro persone – di cui due bambini – hanno perso la vita senza una ragione. Almeno non una ragione ponderabile, comprensibile per la mente e l’animo umano. Quando il 34enne Andrea Pignani ha sparato ai due fratellini di cinque e dieci anni, Daniel e David Fusinato e a Salvatore Ranieri, l’uomo che ha tentato di fermarlo, il mondo nel Consorzio colle Romiti dove è avvenuto il fatto, si è fermato. Dopo aver sparato cinque colpi alla testa e al cuore delle vittime innocenti Andrea Pignani è tornato alla sua abitazione distante 400 metri dal luogo della strage e si è tolto la vita con la stessa arma usata per gli omicidi. La pistola del padre che l’aveva in dotazione come guardia giurata. Le notizie sono ancora contrastanti tra chi dice che Pignani ha sparato con intenzione perché conosceva le vittime e chi come il sindaco di Ardea, Mario Savarese, che ha dichiarato di non aver mai firmato un ordine TSO per il giovane con problemi psichici dichiarati. E che non era a conoscenza di altri episodi di violenza a carico dell’omicida suicida. Nei prossimi giorni forse si troveranno delle risposte ma è probabile che una ragione non ci sia davvero.

Che cosa scatta nella testa di una persona che compie un gesto come questo?

“Certamente senza diagnosi è una nebulosa. Ancora si sa troppo poco sulla vicenda. In generale posso dire che in assenza di motivazioni fattuali le ragioni si trovano nello stato psicotico stesso. La patologia psichica è inconoscibile per questo fa ancora più paura. Non ci sono ragioni perché non c’è razionalità”.

Ma si poteva prevenire questa strage? 

“E’ un fatto ancora più brutto di quello che sembra. Apre al tema delle malattie mentali e delle cure date al paziente. Anche in caso Pignani fosse stato sottoposto a un ricovero sarebbe comunque stato poi rimandato a casa. Dove a prendersene cura solitamente sono i familiari. Ma non è detto che questi siano in grado di accudire una persona con problemi psichici. Certo c’è la questione della pistola e del perché fosse in mano proprio a lui. E poi molte volte i familiari negano i problemi reali dell’assistito perché hanno paura che venga stigmatizzato”.

Ma se non la famiglia chi si prende cura di chi è affetto da patologia psichica?

“Ci sono i Centri di Igiene Mentale e gli amministratori di sostegno. Bisogna comunque passare per il giudice tutelare che decide chi deve prendere in carico le faccende patrimoniali ma anche chi deve somministrare loro le cure. Non è semplice. Certamente i malati non vanno lasciati soli. Alcuni di loro non sono in grado ad esempio di ricordare a che ora devono prendere le medicine. Altri hanno bisogno di assistenza 24 ore al giorno. Molti di loro non riconoscono la propria problematicità”.

Perché dopo l’omicidio Andrea Pignani si è suicidato?

“Difficile a dirsi. Ma non credo possa aver avuto un senso di colpa. Perché lo stato psicotico non permette alla persona che ne soffre di avere razionalità. Invece chiusosi in casa da solo, con i carabinieri alla porta si sarà sentito braccato e ha agito in senso anti conservativo. Non ha trovato altra via che togliersi la vita lui stesso. Ma senza consapevolezza”.

Così alla tragedia si è aggiunta un’altra tragedia. Tre famiglie distrutte. Sopratutto i genitori dei due bambini, David e Daniel. Chi li può aiutare?

“Avranno bisogno di un sostegno da parte di un professionista. Devono essere aiutati a cercare un significato. Hanno perduto i figli in una circostanza ancora più improbabile e assurda di un incidente d’auto, ad esempio. Un’eventualità imprevedibile e difficile da metabolizzare. Trovare un responsabile ci fa sentire meglio. Ma qui si tratta di una tragedia nella tragedia. Anche il killer è una vittima. Una persona fragile e a rischio verso gli altri ma anche verso se stesso”.

Si può e si deve fare di più per chi soffre di questi disturbi. E dal punto di vista legale? 

“Il discorso è lungo e articolato. La legge Basaglia del 13 maggio 1978, in tema di accertamenti e trattamenti sanitari volontari obbligatori (TSO) ha superato il ghetto sociale. Per cui i malati con disturbi psichici erano considerati irrecuperabili e socialmente pericolosi quindi venivano allontanati dalla società. Ha avuto dunque una grande rilevanza sociale. Ma molti di questi malati oggi sono abbandonati a se stessi. Non possiamo fare finta che il problema non esista”.