Guerra commerciale? No, strategia

Una delle notizie di questi ultimi giorni è che l’amministrazione statunitense abbia prorogato di 30 giorni l’applicazione dei nuovi dazi su acciaio e alluminio verso l’Unione Europea. La nuova dead line fissata è il 1° giugno entro la quale si dovrà trovare un accordo tra le parti per evitare l’applicazione delle nuove tariffe doganali americane.

Il Presidente della Commissione Europea Juncker, a tal proposito, ha dichiarato esplicitamente che “L'Ue ha indicato la sua disponibilità a discutere le questioni di accesso al mercato di interesse, ma ha anche chiarito che, come partner e amico di lunga data degli Usa, non negozierà sotto minaccia” a cui si aggiunge che “Qualsiasi futuro programma di lavoro transatlantico deve essere equilibrato e reciprocamente vantaggioso”.

In queste parole, forse, si opera la vera disclosure su quanto stia realmente avvenendo. Già in precedenza, su queste pagine, si era indicato quanto il protezionismo sia, nel lungo periodo, dannoso per tutti gli attori sul mercato, così come che “una guerra può essere combattuta con diversi metodi e quello dei dazi all’importazione è uno di essi, forse il più soft poiché è sempre prodromo all’apertura di un tavolo contrattuale futuro” e così sembra che stia avvenendo.

Sicuramente l’annuncio del presidente americano Donald Trump sull’apposizione di nuovi dazi che vanno ad aggiungersi al già forte e strutturato sistema di protezione del mercato interno americano aveva sparigliato le carte nel gioco competitivo mondiale, dove stati come Cina, Germania e Italia godono di una posizione assai importante come esportatori di merci e di servizi e altri come, appunto, gli Usa hanno il ruolo di “grandi acquirenti”. Si potrebbe pensare a questa azione, con un parallelo un po’ azzardato, come a un ultimatum prima di un attacco bellico e, in effetti, quello che si andrebbe a ipotizzare in caso di fallimento delle trattative sarebbe una vera e propria “guerra commerciale” ma che, probabilmente, non vedrà mai la luce, almeno tra i due partner transatlantici.

Se si volesse giudicare con un occhio più distaccato dal giudizio sull’uomo Trump che ha animato articoli e articolesse fin dalle primarie del Gop prima delle elezioni del 2016, l’operato della Casa Bianca di questi ultimi mesi sembra essersi rivolto alla stipulazione di nuovi trattati commerciali ad hoc con i partner per superare la situazione, consolidata, già esistente.

Non è un mistero che una delle aree più protezionistiche, soprattutto in campo agroalimentare, sia proprio l’Unione Europea e la minaccia di nuovi dazi ha permesso di riaprire quel tavolo che sembrava ormai defunto con la sospensione delle trattative relative al Tttpi.

Questo nuovo tavolo di trattativa per un accordo bilaterale di scambio, in realtà, apre grandi opportunità per tutti.

Vero, questo avviene sotto minaccia, ma quanto varrebbe una possibile ritorsione degli Usa su acciaio e alluminio?

Per l’Italia si stima circa 650 milioni, pari a un 1.6% circa dell’export complessivo verso gli Usa, quindi una percentuale anche facilmente assorbibile da un miglioramento dell’export verso altri Paesi partner e non una vera e propria tragedia ma è il principio che si fa importante in questi casi.

Bloccare con dazi a doppia cifra l’ingresso di merci da altri Stati altro non fa che rendere più care le stesse merci all’interno del mercato che così si vuole proteggere, soprattutto se fortemente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime. Però la rinegoziazione dei trattati di scambio, come si accennava poco sopra, potrebbe nascondere delle grandi potenzialità, sia per gli Usa sia per l’Europa stessa.

È ovvio che un trattato tra partner commerciali, in assenza di una vera e propria preminenza di uno sull’altro, vada a concludersi con una mediazione che potrebbe favorire determinate tipologie di prodotto americane, da una parte, e altre europee, dall’altra, in questo caso con la riduzione o l’abolizione biunivoca dei dazi finora applicati sulle stesse da ambo le parti.

Questo avrebbe, nel breve termine, un effetto abbastanza immediato sui prezzi al consumo che si ridurrebbero in poco tempo con un vantaggio palese per il potere d’acquisto dei consumatori e per le aziende più efficienti o di qualità che vedrebbero aumentare gli ordinativi; d’altro canto altre aziende che abbiano sempre vissuto dietro la protezione dei dazi o dei sussidi alla produzione andrebbero subito in crisi e occorrerebbe pianificare un sistema di transizione per evitare che questa possa divenire sistemica ma questo è un compito della politica e che deve essere considerato prima della conclusione delle trattative sui nuovi accordi.

In definitiva, sembrerebbe, che l’obiettivo di Trump e dei suoi strateghi non sia veramente quello di aprire una nuova epoca mercantilista, chiudendo o, quantomeno, limitando fortemente l’accesso al mercato americano agli altri player globali ma, piuttosto, di ridefinire le regole tramite accordi bilaterali giudicati più vantaggiosi per gli Usa e, perché no, anche per le controparti qualora siano abbastanza abili da inserire delle clausole efficienti di compensazione.

Washington ha comunicato, infatti di aver raggiunto un accordo definitivo con la Corea del Sud per l'import di acciaio e intavolato accordi di principio con Argentina, Australia e Brasile, i cui dettagli saranno finalizzati a breve. In più la proroga al 1° giugno è stata estesa a Canada, Messico oltre che, ovviamente, all’Unione Europea. Sembra evidente che il risultato voluto non sia di chiusura ma, appunto, di ridefinizione delle regole e questa è un’opportunità importantissima per tutte le parti sedute in trattativa per ottenere un vantaggio, alla fine, condiviso.