Reducetarianesimo e flexitarianesimo: nuove frontiere di stili alimentari

Il rapporto con il cibo è sempre in divenire, con l’obiettivo di rispettare l’ambiente, la propria salute e salvaguardare il portafoglio

Foto di Maria Lin Kim su Unsplash

Nuovi stili alimentari, come il reducetarianesimo e il flexitarianesimo, si sono inseriti, di recente, nel rapporto degli italiani con il cibo, con il proposito di garantire il rispetto dell’ambiente e della salute. I reducetariani sono coloro che hanno deciso di ridurre il consumo di carne, sia per motivi ambientali, sia per impedire sfruttamenti e allevamenti intensivi di animali. In questa nuova tendenza rientra anche chi si pente di precedenti scelte e torna sui propri passi. La Coldiretti, nel 2018, al link https://www.coldiretti.it/economia/due-italiani-tre-dicono-addio-alla-dieta-vegan, affermava “Due italiani su tre dicono addio all’alimentazione vegana abbandonata da oltre un milione di cittadini che sono tornati a consumare carne, latte o uova”.

Il reducetariano, nell’obiettivo di un’alimentazione salutista e ambientalista, riduce il consumo di proteine animali ma non le elimina. L’altra “categoria” in ascesa è quella dei flexitariani: simili ai reducetariani nel rapporto con le proteine animali, se ne discostano per motivazioni di carattere salutistico ed economico anziché ambientali e animaliste. Il termine “flexi” rimanda alla flessibilità, alla possibilità, quindi, nel caso in questione, di poter introdurre carne e pesce nei pasti; non vi sono prescrizioni ferree di carattere quantitativo.

Reducetarianesimo è un neologismo coniato dal ricercatore e imprenditore Brian Kateman; il flexitarianesimo è stato introdotto e supportato dai testi della dietista Dawn Jackson. La polarizzazione degli ultimi anni, tra “carne sì” e “carne no”, vede, con queste due nuove figure, delle modalità intermedie e non intransigenti. Il loro approccio più moderato, propende per un grande seguito negli anni a venire.

Così Papa Francesco il 13 giugno 2016, durante la visita alla sede del Programma Alimentare Mondiale (PAM) “La terra, maltrattata e sfruttata, in molte parti del mondo continua a darci i suoi frutti, continua a offrirci il meglio di se stessa; i volti affamati ci ricordano che abbiamo stravolto i suoi fini. Un dono, che ha finalità universale, lo abbiamo reso un privilegio di pochi. Abbiamo fatto dei frutti della terra – dono per l’umanità – commodities di alcuni, generando in questo modo esclusione. Il consumismo – che pervade le nostre società – ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale a volte ormai non siamo più capaci di dare il giusto valore, che va oltre i meri parametri economici. Tuttavia ci farà bene ricordare che il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero, di colui che ha fame”.

Lucia Bacciottini, biologa nutrizionista è l’autrice, con Marta Colombo Traxler, del volume “Flexitarian diet” (sottotitolo “La dieta flessibile”), pubblicato da “Giunti-Demetra” nel marzo 2016. Parte dell’estratto recita “La Flexitarian prevede un elevato consumo di verdura e frutta (40% del fabbisogno), oltre a cereali integrali (20%), legumi (15%), semi oleosi (5%), uova e latticini (10%), con un 10% di ‘spazio flexi’, riservato a carne e pesce”.

L’Eurispes, nel “Rapporto Italia 2023” del 24 maggio scorso, visibile al link https://eurispes.eu/news/risultati-del-rapporto-italia-2023/, cita molti dati interessanti sulla realtà del Paese, fra questi “Nel 2023 ha intrapreso la scelta vegetariana il 4,2% del campione mentre è vegano il 2,4% (in totale 6,6%). Il 93,4% afferma di non essere vegetariano, ma tra di essi il 7% dichiara di esserlo stato in precedenza”.

Le tendenze alimentari sono in continuo mutamento ed espressioni come “vegetariano” (colui che esclude carne e pesce) o “vegano” (chi, in più, non mangia i derivati animali come uova, latticini e miele), sono affiancate da altri atteggiamenti alimentari, sicuramente più flessibili. A determinare tali nuove scelte di vita, contribuiscono anche una maggiore sensibilizzazione nei confronti del pianeta e una riduzione, o riconsiderazione, dello sfruttamento delle risorse.

Si tratta di scelte di vita, importanti nella loro essenza, frutto di profonde considerazioni personali ed etiche; a volte sono espressione di mode o di “consigli” di figure carismatiche.

Gli stili alimentari esistenti sono molteplici e la ricerca è piuttosto complessa. Fra gli altri, vi sono il pescetarianismo (consumo che, a livello animale, esclude carne ma prevede tutto il pesce tranne i mammiferi, i pinguini e gli anfibi) e il fruttarismo (solo frutta e ortaggi).

In alcuni casi, vegetariani e vegani, hanno raccontato di “sgarri” episodici, attuati per non rovinare la socialità e la convivialità di pasti in famiglia o con amici, senza per questo perdere l’identità della scelta effettuata.

I nutrizionisti confermano come il cambio di alimentazione sia frequente e non costituisca un peccato o un fallimento. Durante la vita può accadere, per motivi ideali, pratici, economici, ecc, di procedere, da vegani, per i gradi intermedi, come reducetariani e flexitariani (oppure in modo diretto), sino a essere onnivori, oppure nel senso inverso.

Gli stili alimentari, sempre più diffusi e vari, implicano anche diversi orientamenti sul mercato; i produttori si adeguano e, al tempo stesso, influenzano il consumatore. All’inizio di ogni anno, accanto a previsioni varie, ci si domanda quale possano essere gli alimenti più “di moda”, in una sorta di classifica molto dinamica.

Nell’agosto scorso, Federvini (Federazione Italiana Industriali Produttori, Esportatori ed Importatori di Vini, Acquaviti, Liquori, Sciroppi, Aceti ed affini) riportava, al link https://www.federvini.it/studi-e-ricerche-cat/5324-cosa-mangiano-gli-italiani-nel-2023-aumenta-l%E2%80%99interesse-per-i-prodotti-dop-e-le-esperienze-enogastronomiche-25, un’inchiesta di Global Market Insights (Società di ricerche di mercato), sulle nuove abitudini alimentari e di acquisto degli italiani. Si legge “Se nel 2022 i protagonisti sono stati curcuma, semi di girasole, ibisco, moringa, yuzu e bevande analcoliche, il 2023 è contraddistinto da nuovi alimenti e grandi ritorni. Nel primo caso, direttamente dalla cucina orientale, spiccano alghe, il frutto del baobab, i semi di chia e il frutto yaupon. Tornano invece il pollo (soprattutto proveniente da allevamenti non intensivi) e i datteri. Secondo l’Osservatorio Immagino (2023), si registra anche un ancor maggior interesse per i prodotti senza lattosio, che già nel 2022 hanno segnato una crescita del +12% e di quelli vegani +3%. In più, continuerà a crescere l’interesse per gli insetti, il cui mercato globale dovrebbe arrivare a più di 1,5 miliardi di dollari entro il 2026”.

Le parole d’ordine intorno alle quali, tuttavia, si concentrano tutti gli stili alimentari sono essenzialmente, in ordine alfabetico: “ambiente”, “calorie”, “risparmio”, “salute”, “sapore”. La conciliazione perfetta di queste condizioni non è facile e ogni stile punta su una (o più) di esse. Scelte effettuate sull’onda della moda o dell’influencer di turno, tendono a essere superficiali e di breve durata; globalizzano i gusti e, non radicate, sono effimere.

In un’epoca di continue e profonde divisioni, non è superfluo ricordare come ognuno sia libero di effettuare le proprie scelte nutrizionali e, per questo, va rispettato.

Ciò che appare molto evidente, nelle discussioni e soprattutto nel web e i social, è la diffusa contrapposizione fra i sostenitori delle varie abitudini alimentari. In ultima analisi, anche l’aspetto nutrizionale, che dovrebbe essere libero e personale, finisce per costituire l’ennesimo terreno di scontro, divisivo, per avere ragione, in termini di ambiente e salute.

I “tifosi alimentari” sostengono con grinta le proprie decisioni e condannano, spietatamente, le opinioni altrui. Alcune volte, le scelte sembrano più frutto di una contestazione verso l’altro che una profonda decisione, convinta e personale.

Affermazioni pacate e fondate, che potrebbero far confrontare le motivazioni, a esempio fra consumatori di carne e non, pervenendo, probabilmente a conclusioni sensate e utili, sono sopraffatte dall’esigenza di aver ragione a tutti i costi e di “asfaltare” l’opinione contraria.

La fattispecie più ricorrente è quella del “giudicare”, come fosse un’esigenza insopprimibile, un bisogno vitale.

Classificazioni, categorizzazioni e stigmatizzazioni sono molto frequenti, in diversi ambiti, per questo è auspicabile che i toni rientrino un po’ e che non si debba subire una sorta di ostracismo sociale per le proprie preferenze alimentari, peraltro sempre passibili di spontanea e libera “revisione”.