La coraggiosa eredità della doppia canonizzazione

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Sono trascorsi dieci anni dal memorabile 27 aprile 2014: una giornata storica che parla ai secoli e alla quotidianità e che si erge come luminoso esempio individuale e collettivo. Un messaggio imperituro rivolto a tutti e a ciascuno quale “faro per le genti”. Si celebra oggi, in Vaticano e in tutto il mondo, il decennale della doppia canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. La decisione di dichiararli santi nella stessa cerimonia resta una delle più significative del pontificato di Francesco. Elevare insieme agli onori degli altari due figure così forti e caratterizzanti dell’ultimo secolo dell’Ecclesia equivale a indicare due facce della stessa medaglia. Ossia il duplice risvolto dell’eroica testimonianza di fedeltà al Vangelo nell’unione con Dio e con il suo popolo.

In loro il Magistero si incarna sotto forma di dialogo, mitezza, forza di cambiamento nella guida della Barca di Pietro come prima dell’elezione pontificia nella missione in Polonia, in Turchia, nelle diocesi e nelle nunziature, durante guerre e tragedie immani coma la Shoah, in epoche cariche di sofferenza e tragedie. Due figure gigantesche e maestose eppure umili e capaci di rendersi intimamente vicine al cuore di milioni di devoti nei cinque continenti. In tanti siamo cresciuti con una loro immagine in casa abbiamo ricordi personali che ci legano al loro ricordo indelebile. Un segno della loro presenza dentro di noi e nelle nostre famiglie: un momento di preghiera o una foto custodita dai nostri cari.

Don Oreste Benzi, con il quale ho condiviso i suoi ultimi quindici anni di infaticabile apostolato della carità, volle intitolare ad Angelo Roncalli la Comunità da lui fondata al servizio degli ultimi e sempre lui in piazza San Pietro presentò a Karol Wojtyla, durante il Giubileo del Duemila, una “donna crocifissa” liberata dalla tratta che si sciolse in lacrime tra le braccia del Papa venuto dall’Europa Orientale. Frammenti di memoria, spiritualità e solidarietà che si compongono nel quadro universale della santità. Jorge Mario Bergoglio ha scelto di canonizzarli insieme. “Non sono superuomini né sono nati perfetti – insegna Francesco -. Sono persone che per amore di Dio hanno speso la loro vita al servizio degli altri”. Sul piano storico-ecclesiale si stagliano negli annali come il Padre del Concilio e l’evangelizzatore che ha ridato la voce alla Chiesa dell’Est, della guerra fredda e del silenzio.

Giovanni Paolo II è diventato santo in quanto “apostolo, missionario del Vangelo” in ogni angolo del pianeta, testimone credibile e autentico di una santità possibile nella condizione ordinaria di ciascuno. Di Giovanni XXIII rimane impresso soprattutto l’esercizio della bontà pastorale. “E’ un po’ la figura del prete di campagna che ama i fedeli e sa curarli – sottolinea papa Bergoglio -. Si preoccupava per i poveri e raccomandava di non abbandonarli mai”. A entrambi in vita non sono state risparmiate false accuse e malevolenze, al punto che Francesco rievocando il loro contributo al Concilio Vaticano II fa ricorso a un esempio preciso: una presenza di fede e coraggio che si vorrebbe celebrare ma non seguire nelle conseguenze. Jorge Mario Bergoglio prende spunto dal martirio di Santo Stefano, il quale prima di essere lapidato annuncia la risurrezione di Cristo, ammonendo i presenti con parole forti: “Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Il primo martire cristiano, dunque, come monito a quanti hanno perseguitato i profeti e dopo la loro morte hanno costruito per loro una bella tomba e li hanno venerati.

Angelo Roncalli e Karol Wojtyla, insomma, sono modelli sempre attuali non soltanto per la Chiesa ma anche per il mondo perché offrono speranza all’umanità confusa e atterrita oggi come negli anni dei conflitti mondiali e dei blocchi contrapposti. Entrambi hanno attraversato le tempeste del loro tempo dimostrando quella “docilità allo Spirito Santo che invece tanti vogliono assopire e addomesticare”, secondo la definizione del Pontefice che li ha proclamati santi. Due testimoni della “forza di Dio che ci dà la consolazione per andare avanti”, sconfiggendo la tentazione di “diventare stolti e lenti di cuore”.