Colera, dengue, guerra civile: polveriera Sudan

50 mila persone in fuga dalla crisi in Sudan vivono da mesi accampate al confine del Ciad senza alcuna assistenza né servizi di base. Sono al 70% donne e bambini e il loro numero è destinato ad aumentare

Sudan

“Nella giornata di mercoledì 25 ottobre alcuni colleghi dello staff sudanese del Centro pediatrico di Emergency a Nyala, nel Sud Darfur, erano stati arrestati dalle Forze Rapide di Supporto (RSF). A causa delle difficoltà di comunicazione che permangono dall’inizio della guerra– raccontano gli operatori umanitari-. Emergency aveva appreso dell’arresto da un video pubblicato su alcuni social media e aveva perso contatti con il resto dello staff. Non riuscendo quindi ad avere certezza sul numero delle persone arrestate né sulla loro identità. A distanza di quasi una settimana i colleghi sudanesi sono stati tutti liberati con le scuse di RSF, sono scossi, ma stanno bene”. Proseguono gli operatori umanitari: “Lo staff è stato rilasciato. Ma il Centro pediatrico è stato saccheggiato: sono stati danneggiati i locali, le attrezzature, ma soprattutto è stata violata la sicurezza dello staff sudanese che da due mesi gestisce l’ospedale in autonomia pur di garantire l’assistenza necessaria ai bambini, alle madri e ai pazienti cardiopatici di Nyala e dei centri vicini“.Sudan

Emergency Sudan

“Dallo scoppio della guerra lo scorso 15 aprile, il centro ha continuato il proprio lavoro per garantire l’assistenza essenziale a una popolazione fortemente colpita dal conflitto. Nelle ultime tre settimane era rimasto aperto con grandi difficoltà a causa dell’intensificarsi dei combattimenti– aggiungono i volontari-. I colleghi sudanesi sono stati i primi a chiedere di tenere aperto il Centro pediatrico per garantire la continuità delle attività sanitarie. Vedono in prima persona l’impatto del lavoro di Emergency sulla propria comunità, ogni giorno. E per questo non si sono mai tirati indietro. Tuttavia, senza rassicurazioni sulla sicurezza dello staff, dei pazienti e sulla possibilità di lavorare in modo indipendente non sarà possibile riaprire l’ospedale”. Anche nella capitale Khartoum la gestione delle strutture sanitarie sta diventando sempre più difficile. La città è irriconoscibile, dilaniata dai bombardamenti che vanno avanti da oltre sei mesi, la maggior parte degli ospedali sono chiusi per inagibilità. O perché non sono più in grado di garantire assistenza per la mancanza dei farmaci e del materiale necessario. Sudan

Centro Salamn Sudan

Emergency sta proseguendo faticosamente la sua attività a Khartoum anche con personale internazionale presso il suo Centro Salam di cardiochirurgia. E il Centro di chirurgia di urgenza e traumatologia dove scarseggiano i farmaci, i materiali di consumo. E il carburante necessario a far funzionare i generatori. “Mancano le autorizzazioni per far arrivare il materiale sanitario. E manca anche il personale necessario- riferiscono gli operatori umanitari-. Molti colleghi sudanesi hanno dovuto lasciare il Paese a causa dell’aumento dei combattimenti. E vengono ricevuti con molta lentezza i visti per il personale internazionale che sta aspettando da mesi di entrare nel Paese. Per dare il cambio ai colleghi che stanno gestendo le attività dall’inizio del conflitto. Emergency chiede il rispetto dei pazienti, del personale e delle strutture sanitarie per poter continuare a garantire alla popolazione sudanese il diritto alla cura, anche in guerra.Sudan

Emergenza sanitaria

I focolai di colera e di dengue nel Sudan dilaniato dalla guerra hanno causato più di 100 morti da agosto. Ad annunciarlo è il ministero della Sanità. Un totale di 1.049 casi di colera, di cui 73 mortali, sono stati registrati a Khartum, nello stato di Al-Jazira a sud e nello stato di Gedaref a ovest, ha dichiarato il ministero. Khartum è stato uno dei principali campi di battaglia nei combattimenti tra generali rivali che hanno attanagliato il Paese da aprile. Centinaia di migliaia di residenti della grande Khartum sono fuggiti verso le aree più tranquille di Gedaref e Al-Jazira. Sovraccaricando la fornitura di acqua pulita. Nove stati sudanesi hanno registrato casi di dengue trasmessa dalle zanzare, con 49 morti su un totale di 3.316 casi, secondo il ministero. Lo Stato di Gedaref, che confina con l’Etiopia, ha registrato 2.152 casi e 33 decessi. Anche prima dello scoppio dei combattimenti ad aprile, il sistema sanitario del Sudan faticava a contenere le epidemie che accompagnano la stagione delle piogge del Paese, che inizia a giugno. Ora – con gli ospedali bombardati, i medicinali in esaurimento e molti medici in fuga dal Paese – il sistema sanitario è stato spinto al limite. Il rapporto del ministero della Salute dice che il 70% degli ospedali nelle aree devastate dalla guerra è fuori servizio.Sudan

Epidemia

Oltre al conflitto in corso in Sudan, quindi, preoccupano le recenti epidemie di dengue e dissenteria. Che hanno già “ucciso centinaia di persone” nel Paese, conferma il sindacato dei medici locali. In un comunicato i dottori hanno messo in guardia da una “diffusione catastrofica” che potrebbe sopraffare il sistema sanitario del Paese, già in crisi a causa della guerra. In particolare, la situazione sanitaria nello Stato sudorientale di Gedaref, al confine con l’Etiopia, “sta peggiorando a un ritmo terribile”, con migliaia di persone infette dalla febbre gialla. La dengue, o febbre gialla, è una malattia trasmessa dalle zanzare che provoca febbre alta, mal di testa, nausea, vomito, dolori muscolari. E nei casi più gravi, sanguinamenti che possono portare alla morte. A Khartoum invece tre persone sono morte di dissenteria – casi sospetti di colera – nel distretto di Hajj Youssef, nella parte orientale della capitale, ha aggiunto il comitato di resistenza locale. A El Fasher, capitale dello stato del Nord Darfur, “in una settimana sono stati segnalati 13 casi di malaria”, ha riferito il ministero della Sanità.

Caos Sudan

Allarme umanitario per la guerra civile dimenticata in Sudan. La tragedia invisibile in atto nel paese africano non su penetra la barriera internazionale dell’indifferenza. La situazione si aggrava di giorno in giorno. 50 mila persone in fuga dalla crisi in Sudan vivono da mesi accampate al confine del Ciad. Senza alcuna assistenza né servizi di base. Sono al 70% donne e bambini e il loro numero è destinato ad aumentare al protrarsi del conflitto scoppiato ad aprile e delle violenze interetniche. A lanciare l’allarme è COOPI, Cooperazione Internazionale, tra le poche organizzazioni che intervengono nella regione. Dopo che il Sudan ha intrapreso il cammino della transizione politica, i bisogni umanitari continuano a crescere in tutto il paese. Questi bisogni sono principalmente guidati dalla povertà, dal conflitto e dal cambiamento climatico. E sono esacerbati da decenni di sottosviluppo. “Il 15 aprile 2023 è esploso il conflitto tra le Forze Armate e le Forze di Supporto Rapido- evidenziano gli operatori umanitari della Coopi-. A giugno 2023, oltre 1.400.000 persone sono fuggite dalla capitale Khartoum in direzione di luoghi più sicuri, come Gedaref nell’est del Paese. Al confine con l’Etiopia oppure in Ciad. Al confine con il Darfur. Luoghi in cui Cooperazione Internazionale sta prestando assistenza umanitaria a 35 mila persone in stato di estremo bisogno, soprattutto donne e bambini.Sudan

Emergenza Sudan

Il conflitto ha mandato in frantumi un sistema da decenni precario. Una situazione caratterizzata da povertà, conflitti, cambiamento climatico, sottosviluppo. In Sudan 13,5 milioni di persone già nel 2021 avevano bisogno di assistenza umanitaria. Coopi è presente in Sudan dal 2004. Per sostenere i gruppi più vulnerabili. Sfollati interni, rimpatriati, rifugiati e comunità ospitanti. Sacche di fragilità che si concentrano soprattutto negli Stati del Nord Darfur, Kassala e Khartoum. Attraverso interventi di sicurezza alimentare/mezzi di sussistenza e WASH Riduzione rischi disastri (RRD) e Protezione (Shelter/No Food Items). Oggi è attivamente coinvolta nel rispondere a questa nuova grande emergenza. Scontri e violenze etniche stanno causando un nuovo esodo. “E’ una crisi nella crisi”, dice Marcelo Garcia Dalla Costa. Responsabile dell’Unità emergenze di Coopi, di recente rientrato dall’area. Per sostenere le attività nella regione, Coopi ha lanciato una campagna di raccolta fondi.  “L’Europa e il mondo ricco hanno gli occhi puntati altrove, ma nella regione sudanese è in corso una tragedia senza precedenti da arginare immediatamente. Anche per evitare ulteriori escalation”, ha dichiarato al forum di Milano, Ennio Miccoli. Il direttore di Coopi è intervenuto sulle “policrisi” e sulle emergenze in corso.Sudan

Bilancio provvisorio

Sei mesi dopo l’inizio degli scontri, il bilancio provvisorio delle Nazioni unite parla di almeno 9 mila persone uccise. “In uno dei peggiori incubi umanitari della storia recente”, nelle parole di Martin Griffith, sottosegretario generale. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, oltre 4,5 milioni di persone sono sfollate all’interno del Sudan. Mentre 1,3 milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini, in gran parte in Ciad (508mila), Egitto (323mila), Sud Sudan (315mila). Inoltre, 25 milioni di abitanti, ossia più della metà dei 48 milioni del Sudan, hanno bisogno di aiuti umanitari. “Scontri e violenze etniche in Darfur stanno causando un nuovo esodo. Mentre i campi profughi sono sovraffollati, le 50mila persone accampate alla frontiera nella regione orientale ciadiana di Sila non hanno nulla. Spesso nemmeno un telo sotto cui rifugiarsi o accesso sicuro all’acqua”, evidenzia Marcelo Garcia Dalla Costa, responsabile dell’Unità Emergenze di Coopi. “È una crisi nella crisi: dopo aver assistito ad atrocità e brutalità, queste persone hanno bisogno urgente dei beni e servizi di base, dal cibo alle cure sanitarie“, aggiunge.

Sos Darfur

In Darfur, nel sudovest del Sudan, la crisi politica e gli scontri tra fazioni militari si sono intrecciati a una nuova ondata di pulizia etnica. Nei confronti delle persone di etnia Masalit. Da parte delle Forze di supporto rapido (Rsf) e delle milizie arabe di etnia janjaweed. Vent’anni fa, in Darfur, oltre 300mila persone furono assassinate, 2,5 milioni furono sfollate e centinaia di migliaia vittime di stupri, distruzioni e attacchi. “Quello che è iniziato come un conflitto tra due gruppi militari potrebbe trasformarsi in una vera guerra civile“, sostiene Volker Perthes. Il rappresentante speciale dell’Onu per il Sudan già aveva lanciato l’allarme. “Su violenze mirate di vasta scala contro i civili sulla base dell’identità etnica“. Con massacri e violenze sessuali che “potrebbero costituire crimini contro l’umanità”. Tanto che la procura della Corte penale internazionale a luglio ha annunciato un’inchiesta su presunti crimini di guerra e contro l’umanità. Prima di aprile, circa 3,7 milioni di persone vivevano in Sudan come sfollate interne, in maggioranza in Darfur. Dove, secondo l’Onu, ora vive il numero più grande di sfollati interni al mondo, nonché quello che aumenta più in fretta. Proprio dal Darfur, nel Ciad orientale sono arrivati oltre 400mila profughi, che diventeranno 600mila entro la fine dell’anno. Sudan

Campi sovraffollati

Circa 130mila vivono nei campi di Djabal, Goz Amir e Zaboud, e in quello informale di Kerfi. Tra loro, oltre 60mila sono dei “rientrati”, ossia persone originarie del Ciad che si erano trasferite in Sudan, e per il 93% si tratta di donne e bambini. Decine di migliaia vivono invece in ripari improvvisati, sovraffollati, senza servizi di base e assistenza, attorno alle località di Tissi, Deguessa, Andressa e Mogororo. Difficili gli equilibri con la popolazione locale per l’uso delle già scarse risorse: a Deguessa a marzo vivevano 3mila persone, ora sono 12mila. Inoltre, altre migliaia sono bloccate in prossimità della frontiera. A impedire il viaggio sono le condizioni delle strade e l’impossibilità di attraversare i fiumi temporanei. Quando giungeranno in Ciad, la situazione si farà ancora più drammatica. Condizioni critiche si verificano anche ai confini di altri Paesi vicini al Sudan. Quello del Sud Sudan secondo l’Onu è stato attraversato da 30mila sudanesi e 266 mila “rientrati”. Decine di migliaia restano bloccati in attesa di trasferimento, impossibilitati a partire da mancanza di fondi e piogge stagionali. In condizioni precarie e in continuo peggioramento. Al confine con l’Etiopia, le scarse condizioni di sicurezza ostacolano i movimenti e si sono verificate epidemie di colera e malaria.sudan

Senza acqua né cibo

Circa 50mila persone sopravvivono da mesi in rifugi di fortuna, senza alcuna assistenza o servizi di base, nella zona orientale del Ciad al confine con il Sudan. Da cui sono fuggite a causa di guerra e violenze interetniche. La stima è di Coopi (Cooperazione internazionale), tra le poche ong che intervengono in Sudan e nelle zone della regione coinvolte dalla crisi che, iniziata il 15 aprile 2023, sta spingendo alla fuga milioni di persone. Oltre ad intervenire nei campi profughi, COOPI assiste anche negli insediamenti informali, non raggiunti prima da alcuna assistenza. Dai primi scontri tra fazioni militari a Khartoum, mentre le violenze si sono allargate velocemente e tuttora non accennano a diminuire, sei milioni di persone sono state costrette alla fuga. Una situazione che va ben oltre i confini nazionali del Sudan, coinvolgendo i Paesi vicini, primo fra tutti il Ciad dove è finora arrivato più di mezzo milione di persone.Sudan

Cooperazione

Coopi  è presente nella provincia ciadiana di Sila dal 1997, concentra le sue attività sulle zone di Zaboud, Adde Mour e Deguessa. Nel campo di Zabud ha costruito sei Spazi amici dell’infanzia, per fornire servizi psicologici e psicosociali a bambini e donne fortemente traumatizzati. E ha distribuito 1960 kit di prima necessità e 850 kit igienici, attuando una campagna di sensibilizzazione sui diritti dei bambini e contro gli abusi sessuali. A Tissi, così come in altre aree, COOPI ha rilevato l’assenza completa di operatori umanitari, distribuendo quindi aiuti non alimentari come sapone, zanzariere, taniche. E costruendo latrine per arginare il rischio di malattie. In Sudan, Coopi è presente dal 2004 per sostenere i gruppi più vulnerabili nelle aree di Nord Darfur, Kassala e Khartoum, con interventi di sicurezza alimentare, acqua, sanità e igiene, riduzione di rischi e disastri, protezione. Nelle province di Gedaref e Nord Darfur ha in questi mesi assistito gli sfollati con aiuti non alimentari. Lavora inoltre a nuovi progetti nella zona del Nilo Bianco e attorno a Khartoum. Dove sono affluiti in alto numero i profughi in fuga dalla capitale.