Storia di Alima, un esempio positivo da seguire

La storia di Alima è un esempio delle molteplici situazioni analoghe in cui si trovano molte ragazze e molte ragazzi che immigrano in Italia

immigrazione

Emi Rehana Ferdous è un’operatrice sociale e interculturale presso il centro di ascolto e orientamento Pace Adesso di Bologna. Nel corso della sua professione, ha avuto modo di scoprire le storie di numerose persone che hanno deciso di immigrare in Italia alla ricerca di migliori condizioni di vita. Tra le testimonianze che ha ascoltato, spesso si sono presentati dei casi in cui l’integrazione dell’immigrato inizialmente è stata difficoltosa ma che in seguito, con determinazione e coraggio, ha avuto un esito positivo. In questa intervista, Emi ci racconta quali difficoltà può dover affrontare un immigrato in Italia e quali sono le potenziali prerogative utili a superare certi ostacoli.

Una promessa che non corrisponde alla realtà

Alima, una giovane ragazza del subcontinente indiano, è la primogenita di una famiglia composta da madre, padre, altre due sorelle e un fratello minore. La madre è una donna molto determinata ma che ha dovuto affrontare diverse difficoltà dato che il marito ha abbandonato la famiglia. La donna è stata appoggiata dal fratello che ha ospitato lei e i suoi figli per dodici anni in casa sua, ricoprendo il ruolo di padre dei figli della sorella. La famiglia appartiene alla classe media e la giovane Alima si è sempre sentita molto responsabile del futuro e del benessere di tutto il suo nucleo famigliare. Prosegue gli studi all’università e, una volta laureata, inizia a lavorare come insegnante in una scuola primaria. La giovane ragazza viene però poi costretta ad accettare un matrimonio combinato con un ragazzo originario dello stesso paese che vive in Italia con la famiglia, senza prima avere la possibilità di conoscere il futuro marito. La famiglia del ragazzo promette ad Alima che, dopo il matrimonio, avrebbe potuto trasferirsi con loro in Italia e, di conseguenza, la ragazza accetta perché convinta che in Italia avrebbe potuto trovare un lavoro valido e aiutare la sua famiglia. Dopo il matrimonio, nel 2017 all’età di 26 anni, Alima si trasferisce in Italia con un permesso per motivi famigliari, non con il ricongiungimento familiare in quanto moglie del ragazzo. Una volta in Italia, Alima scopre che il ragazzo è tossicodipendente e, di conseguenza, i due non riescono ad instaurare una vera relazione come marito e moglie. La ragazza scopre che il matrimonio le è stato proposto perché i suoceri pensava che avrebbe potuto aiutare il marito a superare la sua dipendenza. Al contrario però, lei aveva accettato il matrimonio con un altro obiettivo in mente, senza essere a conoscenza delle dinamiche complicate e delicate e, inoltre, non aveva la preparazione adeguata per aiutare il ragazzo, così la convivenza inizia a farsi sempre più complicata. In pochi mesi, i suoceri le affidano dei compiti troppo complicati da gestire come curare la casa in ogni suo aspetto e soprattutto servire e accudire il marito. Se il ragazzo ritardava nel ritornare a casa, le veniva data la colpa per non averlo seguito sufficientemente. Alima si trova in enorme difficoltà perché le viene proibito di uscire di casa, di fare nuove amicizie, le viene impedito di frequentare un corso di lingua italiana come invece lei desiderava e persino di contattare sua madre, suo zio o i suoi fratelli, così la ragazza capisce che è diventata “prigioniera” della famiglia del marito. I suoceri di Alima le danno un ultimatum: se entro un certo periodo di tempo la ragazza non fosse riuscita a far recuperare al marito uno stile di vita sano e corretto, lei sarebbe stata considerata una donna fallita e per questo non le avrebbero rinnovato il permesso di soggiorno per rimanere in Italia. Inoltre, il marito è stato più volte violento sia verbalmente che fisicamente con la ragazza, negandole persino il cibo per diversi giorni.

Una prova di coraggio

 Alima decide di chiedere aiuto ad una famiglia che aveva fortunatamente conosciuto e viene messa in contatto con l’Associazione Casa della Donna. In questo momento, riesce per la prima volta ad ottenere la copia fisica del suo permesso di soggiorno, perché in precedenza la famiglia del marito gliel’aveva negata. La struttura però non è in grado di accoglierla per più di nove mesi, durante i quali Alima ha imparato l’italiano molto bene e ha trovato un lavoretto come baby sitter, investendo al massimo tutte le sue forze e capacità. La ragazza conosce un’amica che la mette in contatto con una famiglia che vive Bologna dove poi Alima trasferisce, dato che la sua permanenza nella struttura non era più prolungabile. Qui la ragazza si reca subito al centro di ascolto e orientamento dove lavora  Emi, la quale le procura vitto e alloggio presso le suore di clausura. Alima è di religione musulmana, ma questo fatto impedisce per nulla la sua accoglienza perché le suore le danno subito confidenza. Pian piano, lo sportello di Emi aiuta Alima a trovare un lavoro, cosa fondamentale anche per poter rinnovare il permesso di soggiorno e, nel frattempo, la ragazza segue dei corsi scolastici conseguendo il diploma di terza media.

La ragazza lavora come baby sitter presso una famiglia che, sapendo della sua esperienza come insegnante, l’accoglie subito con un contratto indeterminato. Nel frattempo, Alima continua a studiare e lavorare. Una volta ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno, continua a lavorare e pensa di non alloggiare più presso le suore, così viene accolta da un’altra signora che le offre la residenza in casa sua. Nel frattempo arriva il COVID-19 che rende questa situazione più complicata. Fortunatamente però, tramite dei conoscenti, Alima conosce un ragazzo che vive in Norvegia e che ha vissuto più o meno la sua stessa esperienza: anche lui è stato coinvolto in un matrimonio combinato con una ragazza proveniente dal suo stesso paese di origine ma che, all’epoca, viveva in Norvegia e anche il loro matrimonio è andato in fallimento nel giro di pochi giorni. Emi organizza gli incontri tra i due che si conoscono e si innamorano e nel 2020 Alima decide finalmente di trasferirsi in Norvegia con il ragazzo. I due sono ritornati nel loro paese di origine in occasione del matrimonio sociale, aspetto molto importante nella loro cultura, per poi ristabilirsi in Norvegia. La coppia ora vive insieme, Alima è molto felice ed è in dolce attesa. La ragazza sta imparando la lingua norvegese e desidera poi iniziare a lavorare, mentre il marito si era già stabilito in precedenza anche a livello lavorativo. Questa è una storia di match making unica, una combinazione perfetta che ha concluso un percorso molto difficoltoso ma con un esito finalmente positivo.

Preconcetti culturali e incompatibilità

 Emi sottolinea che la storia di Alima è un fenomeno molto comune perché spesso i genitori pensano che i figli debbano a tutti i costi seguire le regole imposte dalla cultura con cui vengono cresciuti. I figli di famiglie che emigrano, crescendo in un altro paese diverso da quello di origine, non riescono ad adattarsi alle regole dei genitori che invece sono cresciuti in un contesto completamente diverso. Oltretutto, c’è da dire che ciò che ha vissuto Alima accade anche a tantissimi uomini, non solamente alle donne, perché spesso vengono fatti sposare con ragazze cui origini sono le stesse, ma che crescono all’estero, con un’altra cultura. Un matrimonio funziona quando marito e moglie hanno obiettivi uguali e, per questo, il fallimento si verifica nel 90% dei matrimoni combinati in cui marito e moglie crescono in contesti differenti. Inoltre, spesso avviene un vero e proprio inganno perché nei matrimoni combinati vengono omessi dei dettagli fondamentali che vengono poi scoperti solamente in seguito, quando il matrimonio è già stato effettuato ed è troppo tardi.

Il ruolo delle associazioni di accoglienza per le donne

Alima è stata accolta da un’associazione che ha il compito di proteggere e accogliere le donne in difficoltà ma, come si è verificato anche nel suo caso, spesso la procedura legale è talmente lunga che a qualsiasi passo fatto in avanti, se ne fanno cento indietro. Per queste donne servono aiuti e assistenza costanti, per un lungo periodo di tempo, per poter riuscire a superare determinate situazioni e ottenere la propria autonomia. Emi ci ricorda che spesso in questi percorsi le donne vengono abbandonate per mancanza di mezzi, strutture e fondi e quindi ricadono nella difficile condizione di partenza.

Perché la storia di Alima ha avuto un esito positivo?

Emi ci spiega che Alima è una ragazza estremamente determinata, che aveva già gli strumenti per riuscire a raggiungere il suo obiettivo e un bagaglio di studi che l’hanno aiutata moltissimo. Inoltre, è una ragazza  disponibile ad adattarsi a religione e cultura differente dalla sua. Per un immigrato ci sono degli scogli da superare mentalmente nonché quotidianamente, quindi se si è troppo affezionati alla propria religione e cultura, questo adattamento risulta molto difficile se non impossibile. La forza, il coraggio e la determinazione di Alima l’hanno salvata, ma Emi sottolinea che ha avuto modo di vedere molteplici storie simili e segnate dalla sofferenza che non hanno avuto un risvolto positivo e che quindi, il successo ottenuto dalla ragazza in così breve tempo, è una vera e propria eccezione. La storia di Alima è solo un esempio delle molteplici situazioni analoghe in cui si trovano molte ragazze e molte ragazzi che immigrano in Italia. Lei, fortunatamente, è riuscita ad uscire da una situazione estremamente complicata grazie alla sua forza di volontà e determinazione e la sua storia deve essere sia un esempio positivo da seguire che uno spunto di riflessione.