Eutanasia: referendum incostituzionale? Ecco i 3 motivi

Il 30 settembre si conclude la raccolta delle firme per il referendum sull’eutanasia promosso dall’Associazione Luca Coscioni che avrebbe già raccolto oltre 750.000 adesioni.
Il quesito referendario, che deve essere ancora vagliato dalla Corte Costituzionale quanto alla sua ammissibilità, si propone di abrogare parzialmente l’articolo 579 del codice penale.

Secondo il comitato promotore tale abrogazione consentirà l’eutanasia attiva secondo i criteri dettati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 242/2019 (cd. Caso Cappato/Dj Fabo), consentendo la morte assistita per chiunque ne facesse richiesta in combinazione con le discipline di recente introduzione sul consenso informato e il testamento biologico.

La richiesta referendaria non sembra costituzionalmente ammissibile per almeno tre ragioni.
In primo luogo: la sentenza della Corte Costituzionale su cosiddetto “caso Cappato” riguarda l’articolo 580 del codice penale e non l’articolo 579, per cui non si possono utilizzare i principi di diritto definiti in quella pronuncia per giustificare l’eventuale abrogazione di una norma diversa rispetto a quello per cui sono stati pensati.

In secondo luogo: il Giudice costituzionale ha precisato che non esiste un “diritto di morire” in quanto tale, dato che «dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non possa derivare il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire».
Non si può quindi invocare un diritto all’eutanasia attiva appellandosi alla sentenza sul cosiddetto “Caso Cappato” senza rischiare di travisare e stravolgere proprio i limiti e i principi che quella stessa pronuncia ha fissato.

In terzo luogo: l’eutanasia attiva segnerebbe il passaggio dal diritto alla vita come diritto indisponibile al diritto alla vita come diritto disponibile, aprendo scenari imponderabili e preoccupanti per la loro profonda tentazione antigiuridica.

Rendere l’essere umano e la sua vita beni disponibili significa negare in modo radicale non soltanto la persona, ma anche la sua costitutiva libertà. Uno dei maestri della scienza giuridica italiana, Francesco Santoro-Passarelli, insegnava che «non esiste e non è neppure concepibile, malgrado ogni sforzo dialettico, un diritto sulla propria persona o anche su se medesimo, o sul proprio corpo, stante l’unità della persona, per la quale può parlarsi soltanto di libertà, non di potere rispetto a se medesima».