Kochi, la vocazione psichiatrica contro le strutture di morte

E'nel profondo sud dell'India che si delinea il profilo della città di Kochi, non diversa da altre grandi città dell'immensa penisola. Un luogo forse poco noto in Italia ma che vede il nostro Paese impegnato attivamente, attraverso una delle sue espressioni migliori: quella della solidarietà. C'è un progetto in atto a Kochi, dove una scuola in costruzione e destinata a essere gestita dalle Suore Domenicane di Santa Maria del Rosario, potrebbe presto concretizzare una modifica della destinazione d'uso, per trasformarsi in uno dei pochissimi centri di salute mentale, destinato alle classi meno abbienti. Qualcosa che non si vede spesso in India, dove il sistema sanitario, basato sul modello americano, finisce per favorire chi le cure se le può permettere. E chi, nel caso di problematiche a livello psichiatrico, gode di una stabilità tale da accedere ai Csm: “Gli altri, quindi i poveri, vanno in manicomio – ha spiegato a Interris.it il professor Renzo De Stefani, psichiatra e membro dell'associazione trentina 'Le parole ritrovate', che supporta le Domenicane nella realizzazione del progetto 'Diamo un senso alla follia' -. Lì queste strutture esistono ancora, spesso sovraffollate, specie se le famiglie di coloro che vi sono ricoverati non li riaccettano in casa. La stessa situazione che si viveva in Italia prima della Legge Basaglia”.

La genesi

L'obiettivo è realizzare una struttura che, per iniziare, accoglierebbe 50 donne, dimesse da un manicomio in chiusura, con le quali le religiose vorrebbero ricreare in India quanto già riuscirono a fare in un precedente progetto nella loro Prato: “Lì le suore hanno la loro casa ma i loro progetti si sviluppano in tanti Paesi. Alcuni anni fa, accolsero nella loro casa 50 donne affette da gravi disturbi, pur non avendo precedenti esperienze in psichiatria. La loro assistenza era quella dell'amore e, pian piano, quelle donne ottennero risultati importanti, mentre le suore ampliarono man mano le loro competenze nel settore. Con quelle ragazze misero in piedi un outlet di vestiti, formando al contempo una rete di volontari e famiglie che ha iniziato i primi viaggi in India, una realtà piena di manicomi”. Una struttura in particolare era meta del gruppo di Prato, che decise di fare qualcosa di più di una semplice visita ogni anno per 15 giorni quando la direzione decise di chiudere: “E' in quel momento che decisero di destinare una scuola praticamente finita a diventare un centro di salute mentale, creando un luogo dove mettere il paziente al centro significa farlo davvero”.

La casa della speranza

'Parole ritrovate' entra in gioco a dicembre scorso: “Sono andato in India – ha spiegato il professor De Stefani – dopo che le sorelle di Santa Maria del Rosario hanno chiesto il nostro aiuto per realizzare questo progetto e considerare la possibilità di costituire una joint venture. Lì ho avuto l'occasione di constatare i bassi livelli della psichiatria, la disparità di classe nell'accesso alle cure… Il nostro obiettivo non è accogliere quelle 50 persone, e coloro che verranno dopo, solo per ospitarle ma per reinserirle in società“. Una mission vicina alla sua partenza, distante 300 mila euro: “La raccolta fondi finirebbe con questa cifra, che renderebbe possibile il completamento dei lavori, che in India solitamente procedono in modo rapido. Il centro, che sarà sviluppato sul modello italiano, non sarà un riferimento solo per Kochi ma per l'intero stato del Kerala, dove la città sorge, completamente privo di istituti simili”. In sostanza, realizzare una casa finalmente di accoglienza laddove la prospettiva è la reclusione in luoghi di morte.


Gli interni della struttura a Kochi – Foto © Parole ritrovate