Laboratorio Napoli: la Cei si mobilita nel sociale

"La Chiesa c'è e desidera animare e rianimare la speranza della nostra gente", afferma l'arcivescovo di Napoli, monsignor Mimmo Battaglia 

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Impegno educativo della Cei nel Mezzogiorno. A illustrarlo è monsignor Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, in seguito alla recrudescenza della criminalità e ai suicidi che si sono verificati in carcere a Poggioreale.  Il presule partenopeo è “profondamente addolorato e preoccupato a causa dei recenti episodi di violenza e criminalità che hanno ancora una volta bagnato di sangue le strade della nostra città”. E altrettanta preoccupazione della Cei e della Chiesa napoletana “nasce dal dramma di chi sceglie di mettere fine alla propria vita in un luogo che dovrebbe servire non soltanto a garantire la sicurezza della comunità. Ma anche e soprattutto la rieducazione di coloro che, avendo compiuto reati ed essendo temporaneamente privi della libertà personale, dovranno ritornare alla società. In un modo nuovo improntato alla legalità e alla giustizia“. Aggiunge il presule sulla scia della mobilitazione Cei: “Per questo guardando al Vangelo e alla Costituzione non posso che condividere con tutti il mio appello alla corresponsabilità. Affinché la violenza non generi altra violenza. Affinché queste morti e queste ferite fermino altre morti e altre ferite. Sffinché si compia ogni sforzo non solo per tutelare la dignità e recuperare la vita di coloro che hanno compiuto il male. Ma anche perché si agisca preventivamente. Mettendo al centro del dibattito cittadino l’emergenza educativa“. Parole in linea con il piano educativo della Cei.

Impegno Cei

Prosegue monsignor Battaglia: “Mentre chiedo a tutte le istituzioni e alla società intera di fare la propria parte. Senza cedere alla paura e all’indifferenza. Insieme alla mia Chiesa napoletana. E, in comunione con il mio confratello vescovo don Carlo Villano e la Chiesa di Pozzuoli, di fare ancora una volta un passo in avanti. Diventando ancor più un avamposto di cura integrale dell’uomo e un luogo sicuro per i ragazzi e i bambini della nostra città che hanno diritto a percorsi educativi inclusivi capaci di salvarli dalla strada e dalla violenza“. Si tratta di “una nuova fase del patto educativo, in ogni quartiere, municipalità e comune delle nostre diocesi dove abbiamo individuato alcune parrocchie a cui è stato affidato il compito di animare nell’ambito della propria zona questo processo.
Dando in questo modo una spinta dal basso a un percorso che necessita di maggiore impegno e attenzione da parte di tutti. La Chiesa c’è e desidera animare e rianimare la speranza della nostra gente”. conclude l’arcivescovo di Napoli facendo proprie le istanze Cei. 

Baby gang

L’emergenza educativa è nazionale. “Ed eccoci di nuovo di fronte ad un fenomeno che non si capisce o non si vuole capire. Dare una chiave di lettura alle ‘baby gang utilizzando il codice penale vigente e cioè l’associazione a delinquere, semplice o di stampo mafioso, servirà solamente a rallentare la necessità che il legislatore analizzi, studi e promulghi nuove leggi come è stato fatto per il bullismo e il cyberbullismo. La prevenzione legislativa dovrà interessare proprio quei fenomeni ‘estemporanei’ di colleganza criminale generalizzata che l’utilizzo dei social rende fattibile e variabile nei componenti e negli intenti”. Il sindacato Nsc (Nuovo sindacato carabinieri) interviene così, con il segretario generale dell’Emilia-Romagna Giovanni Morgese. Dopo la relazione della Procura generale di Bologna per l’apertura dell’anno giudiziario. Nel discorso si rileva un aumento dei reati da strada ma si dice anche che non si può parlare di bande giovanili, bensì di gruppi estemporanei. “Più che polemizzare con il procuratore generale che analizza, giustamente, il fenomeno con gli strumenti legislativi attuali – specifica Morgese – si vuole ricordare al legislatore che oggi mancano dei veri strumenti operativi e legislativi che permettano di aggredire il fenomeno di accordo minorile finalizzato ai reati predatori e alle violenze. Una legislazione che aggredisca il fenomeno senza prevedere pene detentive. Con i minori si deve sempre parlare di lavori socialmente utili strutturati”.

Pericolo

Aveva detto a più riprese, anche in aula ai magistrati, di aver cambiato stile di vita. Ma per Baby Gang, trapper con oltre due milioni di follower, soprattutto tra i giovanissimi, è scattato un altro arresto. È finito ai domiciliari perché i giudici, che lo hanno già condannato in primo grado a 5 anni e 2 mesi nel processo per una sparatoria nell’estate del 2022 in una zona della movida milanese, hanno aggravato la precedente misura cautelare dell’obbligo di dimora a Lecco, dove vive. Il cantante, 22enne all’anagrafe Zaccaria Mouhib, è stato indagato, infatti, per lesioni aggravate perché avrebbe sparato, il 20 gennaio, ad un suo amico, ferito con un “colpo di arma da fuoco alla gamba sinistra”, come si legge nell’ordinanza con cui la settima penale di Milano (collegio Tremolada-Pucci-Gallina) ha deciso per i domiciliari con braccialetto elettronico. E ciò per il “pericolo di reiterazione di fatti analoghi”, scrivono, evidenziando la “pervicacia” di Baby Gang nel “procacciarsi e utilizzare” armi, oltre alla sua “inaffidabilità”. Niente più incisioni in studio, dunque, né uscite per attività promozionali per ora e in più, a questo punto, per Baby Gang è a rischio anche il concerto del 6 maggio al Forum di Assago, il suo più grande evento finora che era stato programmato per presentare il nuovo album. Gli sono state revocate anche “le autorizzazioni sinora concesse”, che gli avevano permesso, ad esempio, malgrado il divieto di uscire dalle 20 alle 9, a settembre, circa un anno dopo che era finito in carcere, di esibirsi in un concerto del rapper Lazza all’Ippodromo di Milano. Accogliendo l’istanza del legale Niccolò Vecchioni.

Richieste

Ora i giudici hanno rigettato le richieste su cui non avevano ancora deciso. Per il 6 maggio il trapper non era ancora stato autorizzato, ma ovviamente ora sarà difficile per lui ottenere un via libera. Intanto, su quanto accaduto in casa del 22enne, a Lecco, sono diversi gli aspetti da chiarire. Pare, ad esempio, che l’amico ferito fosse entrato nell’abitazione dalla finestra. Quest’ultimo, comunque, non ha presentato denuncia, anche se ha messo a verbale che sarebbe stato Baby a sparare. I carabinieri di Lecco sono, poi, intervenuti in ospedale dove il giovane era stato ricoverato. Nell’abitazione del cantante successivamente hanno trovato una pistola ad aria compressa. E si dovrà appurare se a sparare sia stata quella o un’altra. In casa c’era anche Mounir Chakib, detto “Malippa”, manager di Baby Gang e già condannato a 3 anni e 8 mesi per la sparatoria di due anni fa. “Non mi va di fare la vittima e di parlare tanto, ma ancora oggi non capisco di cosa mi stanno accusando“, ha scritto il trapper sui social, aggiungendo: “È un anno che sono fuori e in quest’anno non ho mai sgarrato nessuna prescrizione del giudice”. Intanto, a Padova sono indagati in sei per un’aggressione che era già emersa nelle indagini milanesi, coordinate dal pm Francesca Crupi, sulla “faida” tra due gruppi di trapper, quello di Simba La Rue, amico di Baby Gang, e l’altro capeggiato dal padovano Baby Touché.