“Un paese che educa”, la prossimità che accoglie le fragilità giovanili

La comunità educante e la partecipazione sociale assumono sempre più importanza nel contrasto al crescente isolamento giovanile. Interris.it ha parlato di queste tematiche con don Andrea Del Giorgio, uno dei protagonisti del progetto "Un paese che educa"

periferie
Foto di Helena Lopes su Unsplash

Il termine “comunità educante” indica l’insieme degli attori territoriali che si uniscono sinergicamente per garantire il benessere e la crescita armoniosa di ragazze e ragazzi. In altre parole, la comunità educante, indica che, l’intera collettività, ruota intorno ai più giovani, cresce con loro, e non solo per loro; la quale educa gli adulti del domani, ma che si fa anche influenzare positivamente da loro per creare una comunità più coesa e aperta alle istanze provenienti dalle giovani generazioni.

L’esperienza di “Un Paese che educa”

La condivisione di strumenti, idee e buone pratiche è fondamentale per essere prossimi a coloro che, in questo particolare momento storico, si stanno per affacciare all’età adulta. Questo presupposto ha portato diverse realtà della media Valtellina (Sondrio) alla creazione, con il supporto di diversi soggetti pubblici, della cooperazione sociale e del mondo dell’associazionismo, di un nuovo modello di comunità educante all’interno di paesi con una popolazione inferiore ai tremila abitanti, con la finalità di contrastare la povertà educativa. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato don Andrea Del Giorgio, assistente spirituale delle Acli provinciali di Sondrio.

Don Andrea Del Giorgio (© Christian Cabello)

L’intervista

Don Andrea, come nasce e che obiettivi ha il progetto “Un paese che educa”?

“Il progetto ‘Un paese che educa’ nasce dall’interazione di diverse agenzie educative sui territori di tre paesi della media Valtellina tra i 2000 e i 2500 abitanti. I tre paesi sono Piateda, Ponte in Valtellina e Chiuro. I partner del progetto sono Forme impresa sociale, le ACLI provinciali di Sondrio, i comuni di Chiuro e di Piateda, l’Istituto comprensivo scolastico di Ponte e le associazioni sportive PentaPiateda, GDS Chiuro e Olympia Piateda. Sono poi previste forme di collaborazione anche con altri soggetti del territorio come le parrocchie. Il progetto intende contribuire a costruire una comunità educante di ‘paese’ attraverso percorsi che conducano verso la definizione di un patto educativo e di corresponsabilità fra attori diversi. Sono previste sette azioni comuni a favore dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie. Il percorso sarà modulato sul contesto di paesi montani in graduale spopolamento e con fattori di rischio verso la povertà educativa. I paesi spopolandosi perdono gradualmente anche i presidi educativi per la crescita dei bambini e dei ragazzi. Con il progetto si intende invertire tali tendenze e valorizzare quelle agenzie educative che vi si oppongono. Inoltre, si cercherà di creare nuove forme aggregative più o meno formali di educatori (es. gruppi di genitori) e di allargare la funzione di presidio educativo a luoghi e persone informali che sono presenti sul territorio (es. negozio del paese). Una delle prime azioni messe in atto dal progetto è stata la campagna ‘Stai con me’ che aveva come obiettivo sensibilizzare sulle difficoltà legate a solitudine e isolamento sociale e sull’importanza delle relazioni nella crescita. La campagna ‘Stai con me’ si è svolta dal 4 al 24 marzo e ha compreso iniziative dedicate agli adulti e laboratori per bambini e ragazzi”.

Di fronte al crescente isolamento sociale dei giovani quale deve e dovrà essere il ruolo della Chiesa e dell’associazionismo cattolico?

“L’isolamento sociale non è solo dei giovani. Occorre guardare da una prospettiva più ampia: tutta la popolazione è coinvolta in cambiamenti radicali riguardanti le relazioni, lo stare assieme, la partecipazione e l’impegno per il bene comune. Il sociologo Mauro Magatti, in un suo recente saggio, individua nel mondo della nostra epoca una tendenza universale al decadimento entropico. Significa che viviamo in una società che sempre di più perde i pezzi, una società dove è sempre meno spontaneo partecipare, interagire, occuparsi dei beni comuni ed impegnarsi per qualcosa che non sia privato. Ciò disgrega il tessuto sociale e aumenta la solitudine e l’isolamento. Questo vale anche e soprattutto per i più giovani dove questi fenomeni stanno emergendo nelle statistiche di psicologi e psichiatri quando degenerano in forme patologiche. La crisi che sta attraversando la Chiesa e l’associazionismo cattolico non ha solo i contorni specifici di un mutamento epocale legato a questioni religiose e alla esplosione di una secolarizzazione culturale che da decenni erodeva dall’interno le abitudini e le convinzioni degli italiani. Le comunità e le associazioni cristiane subiscono, come tutte le altre forme di aggregazione, una crisi sociale. Non potrebbe essere altrimenti: Chiesa significa ‘Assemblea’ e l’individualismo che frammenta la società e lascia sole le persone non può che essere la sua negazione. Solo tenendo conto di questa visione ampia e preoccupante, che coinvolge la stessa identità comunitaria della Chiesa, si potrà aiutare anche i giovani e favorire il loro protagonismo. Questo comporterà un ripensamento profondo e radicale delle strutture e delle modalità di partecipazione. La Chiesa e l’associazionismo cattolico, facendo rete con gli altri soggetti sociali, devono diventare spazi comuni accoglienti dove i giovani possono sperimentare e costruire assieme, dove anche quei ragazzi che si sono rinchiusi in un privato che progressivamente esclude le persone, perfino della propria famiglia, e taglia fuori dai percorsi di crescita e realizzazione personale possono essere accompagnato a ricominciare ad aprirsi”.

Papa Francesco, nel corso del suo Pontificato, ha esortato i giovani a “camminare nella speranza tenendosi per mano”. Come si esplica questo nella quotidianità delle comunità?

“Oggi, di fronte alle grandi crisi globali che si susseguono e ai grandi cambiamenti che si vedono anche nelle quotidiane trame sociali dei nostri paesi, il cammino di speranza dei giovani prende la forma della condivisione di tempi e di esperienze. Le varie forme di vita comune dedicate ai ragazzi e ai giovani che vengono sperimentate in molte parrocchie sono significative. Attraverso queste occasioni in cui si vive insieme trovano spazio per emergere i valori e le sensibilità delle giovani generazioni. Occorre, infatti, fare spazio perché spesso, questi valori e queste sensibilità vengono soffocate dall’aggressività rancorosa e dalla derisione di una parte del mondo adulto, che purtroppo trova voce sui vari mezzi di comunicazione. Per questo l’invito di Papa Francesco ‘Non lasciatevi rubare la speranza’ è così attuale e prezioso”.