Le radici sociali del razzismo

Un'esperienza rivelatrice, un viaggio attraverso le più profonde convinzioni sociali di un Paese che, ancora oggi, fa i conti con la piaga del razzismo

Usa razzismo manifestazione
Foto © Volunteer in the World

Negli ultimi mesi, il mondo ha visto gli Stati Uniti diventare un paese attraversato dalla rabbia, e da proteste contro atti di violenza rivolti agli Afro-Americani. Come conseguenza, abbiamo visto persone militare in vari modi e in varie aree del mondo, con lo scopo di far sentire il loro desiderio di cambiare la discriminazione raziale che vediamo persistere in molte delle società odierne.

Giovane volontaria

Mi chiamo Marta e ho 21 anni. Ho sempre avuto una grandissima passione per i viaggi, e, grazie ai miei genitori ho avuto la possibilità di farlo molto nel corso della mia vita. Rendermi conto, durante queste esperienze e viaggi, che ognuna di esse era un’occasione per me di scoprire il mondo, ma anche di conoscere meglio me stessa, mi ha spinto ad approfondire sempre di più la mia passione e curiosità per tutto ciò che è internazionale.

Un’esperienza che cambia

Quattro anni fa, ho fatto un’esperienza di studio di un anno negli Stati Uniti, in Maryland. Ero ancora al liceo, una teenager che viveva il suo “American Dream”. Quest’esperienza per me è stata davvero significativa: mi ha dato l’opportunità di conoscere delle persone meravigliose, di cambiare prospettiva, di crescere approfondendo le mie passioni, tra cui quella per lo sport, come non avevo mai fatto prima, di conoscere e incontrare tutto ciò che era “altro”. Durante quei mesi ho capito, facendone esperienza direttamente, che ciò che è diverso non è né migliore, né peggiore di ciò che invece già conosciamo, ma semplicemente diverso appunto.

Il razzismo negli Stati Uniti

Allo stesso tempo, ho avuto occasione di testimoniare direttamente il razzismo Statunitense, ben diverso da quello che dilagava in Europa in quegli anni che era principalmente legato alla crescente intolleranza nei confronti delle immigrazioni. Infatti, cominciando a frequentare un liceo statunitense, mi sono resa conto di come il razzismo sia profondamente radicato nella società Americana, di quanto sia onnipresente e comune. Durante quell’anno di studi, ho scoperto che tra i teenager Americani ci sono “cose” considerate “da bianchi” piuttosto che “da neri”.

Ci sono fast foods, negozi di vestiti, nomi, modi di vestire e modi di dire, che sono concepiti nell’immaginario comune “da neri”. Ovviamente, questo non significa che io non potessi mangiare in certi fast foods, o comprare vestiti in un certo negozio, ma sapevo che facendolo, il commento dei miei amici e amiche sarebbe stato “That’s such a black thing to do” (“è una cosa così da neri”). Fu incredibile per me rendermi conto del fatto che il mio shopping incerti negozi avrebbe reso il mio stile quello “di una ragazza bianca”, o “di una nera”. Anche quando ci si iscrive al test per essere ammessi in università devi dichiarare la tua etnia, se sei latinoamericano, bianco-Americano, Bianco-Europeo, nero-Americano, o Asiatico etc.

La libertà sociale come soluzione

Questo dovrebbe farci riflettere sugli eventi a cui abbiamo assistito quest’anno, e che ho descritto all’inizio. Non è solo un problema di supremazia bianca, o delle forze di polizia, ma soprattutto un problema sociale, e forse molto più profondo di quello che si è percepito negli ultimi mesi. Quest’idea di essere così diversi l’uno dall’altro, e che certi comportamenti siano solo per certi gruppi di persone, offre una prospettiva molto diversa su questo problema.

Forse dovremmo tutti riflettere di più sull’idea che prima di essere bianchi o neri siamo tutti uomini, con desideri, passioni e interessi che non dipendono dal colore della nostra pelle o dalle nostre radici culturali, quanto piuttosto dal nostro essere umani. Forse si dovrebbe lavorare insieme per creare una società in cui tutti siano liberi di essere chi sono, senza alcun timore di essere discriminati per questo, né senza sentir di dover rispettare certi standard di comportamento che dipendono dal loro colore della pelle, o dal loro corpo. La pandemia attuale ci testimonia che dopo tutto non è il colore della nostra pelle a differenziarci, ma piuttosto l’idea in sé di essere l’uno diverso dall’altro.

Dovremmo considerare, quindi, la vita in una società multiculturale come un’occasione per imparare reciprocamente l’uno dall’altro, più che un modo per imporre le nostre tradizioni e convinzioni su qualcun atro.

Marta La Placa
Tirocinante Volunteer in the World