Persone con disturbo dello spettro autistico e inclusione lavorativa. Intervista all’esperta Panisi

L’intervista di Interris.it all’esperta di autismo e referente dell’associazione Diesis di Milano Cristina Panisi

La foto a destra è di Foto di Polina Kovaleva: https://www.pexels.com/it-it/foto/testo-lettere-natura-morta-concettuale-8709355/

Per una piena inclusione, sociale e lavorativa, delle persone con disturbo dello spettro autistico occorre costruire dei percorsi in grado accogliere le peculiarità di ciascuno per permettergli di mettere a frutto le proprie competenze, dall’ambito scolastico al posto di lavoro. Accanto a questo, serve superare lo stigma sociale e gli stereotipi nei confronti delle persone neurodivergenti ancora fortemente radicati, che non consentono di capire, cogliere e comprendere la complessità e le potenzialità di condizioni neurobiologiche diverse dalla media. Si deve dunque costruire un ampio modello che coinvolga il mondo  della scuola, delle famiglie e delle aziende, così come tutti gli altri possibili interlocutori, come gli enti del terzo settore e agenzie per il lavoro, per far dialogare tra loro tutti i soggetti e consentire la realizzazione di luoghi idonei ad accogliere le persone neurodivergenti in un’ottica professionale e produttiva.

L’intervista

Per comprendere come mettere in relazione autismo e mondo del lavoro, Interris.it ha intervistato la dottoressa Cristina Panisi, esperta di disturbi dello spettro autistico, pediatra con dottorato di ricerca in  psicologia, neuroscienze e statistica medica, referente scientifico dell’associazione Diesis di Milano.

Ci può dare la definizione scientifica di cos’è l’autismo?

“Si tratta di una condizione neurobiologica complessa, la cui diagnosi si basa sull’osservazione del comportamento. Tra le caratteristiche più significative per l’autismo si possono ricordare le peculiarità nella  comunicazione e  interazione sociale, la ripetitività di alcune attività (per esempio, movimenti, frasi e parole), la selettività nella scelta degli interessi, un profilo sensoriale differente rispetto alla media. Inoltre il funzionamento cognitivo può essere assai variabile, dalla severa disabilità intellettiva ad intelligenza nella norma o notevolmente superiore alla media. Considerata l’ampiezza dello spettro autistico, serve allora un modello di supporto fluido, che riesca contenere tutti ma allo stesso tempo sappia adattarsi alle esigenze del singolo e alla loro evoluzione, dal momento che si tratta di una condizione che persiste per tutta la vita. Non lasciare indietro nessuno non significa offrire a tutti un supporto con le medesime caratteristiche.

Quante persone presentano disturbi dello spettro autistico in Italia?

“Considerando una prevalenza media di uno su 100, possiamo calcolare che vi rientrino circa 600mila persone. Gli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità riferivano di un bambino su 77, confermando un trend in aumento in linea con i dati internazionali”.

Quali sono gli effetti negativi di una diagnosi tardiva di un disturbo dello spettro autistico?

“Tardiva significa che la diagnosi arriva quando la ‘partita’ più importante per il neurosviluppo è già stata giocata. La neuroplasticità – quindi la possibilità di apprendimento – è massima nei primi anni di vita e un’altra importante finestra di opportunità è rappresentata dall’adolescenza. Il danno di una diagnosi tardiva non è da valutare solo in termini di apprendimento e produttività, ma anche sul piano della sofferenza di un’esistenza tra persone che non vedono – e quindi non rispettano – le caratteristiche che ho descritto prima. Lo stigma nei confronti delle persone autistiche è ancora presente, alimentato dal timore di fronte a quello che non si conosce. E’difficile far cadere lo stigma in coloro che ritengono che esista un unico modo di percepire il mondo, elaborare le emozioni, pensare, relazionarsi con gli altri. Oltre allo stigma, un ulteriore danno lo fanno gli stereotipi e i falsi miti, che trasmettono l’immagine di condizioni estreme, attribuendo a tutte le persone autistiche da un lato una grave disabilità e improduttività, dall’altro una genialità formidabile e talenti eccezionali. Questa estremizzazione rende invisibile la gran parte delle persone nello spettro, con potenzialità e competenze – non geniali – che possono essere messe a frutto grazie a tempestivi percorsi educativi e abilitativi.

Come pensare un modello che intercetti i bisogni specifici di ciascuno e sappia valorizzare ogni talento?

“Servono modelli educativi adeguati a persone con un funzionamento neurologico differente a partire dalla scuola dell’infanzia, riconoscendo la centralità della famiglia, alla quale è importante fornire al più presto un supporto adeguato. L’intero percorso scolastico dovrebbe orientare lo studente verso il mercato del lavoro il più presto possibile, rendendo la transizione dalla scuola al mondo del lavoro un passaggio graduale, non un salto nel buio come solitamente avviene oggi. Per creare un modello articolato e sinergico si deve tener conto di tutti gli interlocutori; oltre alla famiglia, la scuola e le imprese, sono fondamentali anche i centri di assistenza, i numerosi professionisti (medici e non), le agenzie per il lavoro e gli enti del terzo settore, sempre più importanti per favorire questo processo. Infine, occorre favorire consapevolezza nelle istituzioni circa la delicatezza di questi passaggi, su cui oggi grava una eccessiva complessità  burocratica”.

Come facilitare la professionalizzazione e l’inclusione lavorativa delle persone con disturbi dello spettro autistico?

“E’ importante orientare il percorso scolastico in base alle caratteristiche e desideri delle singole persone, puntando a obiettivi realistici, per raggiungere competenze interessanti e spendibili nei diversi scenari lavorativi, all’interno delle aziende o con la formula dello smartworking. Una realtà molto interessante è quella dei centri di lavoro protetto, che consentono di creare dei “piccoli mondi” in cui conciliare la produttività con l’esigenza di un elevato grado di supporto e controllo delle caratteristiche ambientali. In sintesi, da un lato serve puntare al miglioramento qualitativo del percorso formativo, dall’altro occorre aiutare le imprese a riconoscere nelle persone autistiche un’interessante potenzialità produttiva.

Ci può fare alcuni esempi di progetti che hanno accolto e valorizzato le competenze di persone neurodivergenti?

“Ne cito due di cui ho esperienza diretta in Associazione DIESIS:  #COLORIAMOLINVISIBILE e Autelier. Il primo è un progetto di inclusione lavorativa rivolto a giovani con disturbi dello spettro autistico, proposto da Fondazione Adecco, in collaborazione con associazioni del terzo settore. Il progetto si è articolato in diverse fasi, dall’analisi dei bisogni, alla selezione e formazione delle risorse nello spettro autistico, alla sensibilizzazione e informazione delle imprese, fino all’accompagnamento in azienda da parte di tutor dedicati, che supervisionano la fase di inserimento e monitorano la successiva attività, per consolidare il rapporto di lavoro.  Grazie a questo progetto, ad oggi una ventina di giovani seguiti dall’associazione Diesis ha ottenuto un contratto di lavoro. Il secondo progetto, Autelier – sogno di Diesis che sta per diventare realtà – punta a creare condizioni di lavoro protetto e continuativo nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Si tratta dell’apertura di un outlet per la vendita di abbigliamento e accessori moda di brand di livello medio/alto. Le risorse saranno giovani nello spettro autistico, che non solo si occuperanno della vendita, ma creeranno una realtà di alto valore culturale. Infatti l’outlet sarà l’occasione per far conoscere le tante facce dell’autismo, contribuendo a far sì che la partecipazione di tutti i tipi di mente possa diventare la regola nel mondo del lavoro, non l’eccezione”.