Perseguitati e incarcerati per la loro fede: i numeri drammatici del rapporto Acs

“Sono stata condannata a morte in Pakistan per un crimine che non ho commesso. Sono stata arrestata e messa in isolamento per evitare che la taglia posta sulla mia testa spingesse qualcuno ad uccidermi”, il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre sui cristiani ingiustamente detenuti per la loro fede, dal titolo Libera i tuoi prigionieri, si apre con la premessa firmata da Asia Bibi, la donna pakistana, madre di cinque figli, che dal 2010 al 2018 è stata incarcerata e condannata a morte per balsfemia contro l’islam.

La donna pakistana, simbolo internazionale dell’ingiusta detenzione causata dall’avversione al cristianesimo, ora vive in una località segreta del Canada e nonostante perduranti minacce alla vita propria e dei familiari ha deciso di impegnarsi per dare voce a quanti ancora oggi non vedono alcuna luce all’orizzonte. La sua preziosa testimonianza introduce lo studio della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) che pone i riflettori sull’ingiusta detenzione dei cristiani, usata come una delle forme di persecuzione prevalenti, durature e gravi. Ciò riguarda sia gli arresti che i sequestri, tra cui “il rapimento e la conversione forzata di donne, spesso accompagnati da stupri e da altre violenze sessuali”.  Ogni mese – rivela il rapporto -, nei 50 Paesi più a rischio, viene imprigionata ingiustamente una media di 309 cristiani, e secondo i calcoli di Open Doors, nel 2019 sono stati rapiti 1.052 cristiani.

Il Rapporto valuta sia l’azione dei governi che delle organizzazioni estremiste. Gli scenari di tale detenzione comprendono quindi le prigionie per motivi di coscienza, le detenzioni arbitrarie, i processi ingiusti, le condizioni carcerarie inadeguate, i casi di tortura e la pressione per indurre ad abbandonare la fede. La situazione è stata aggravata dalla pandemia, poiché la chiusura parziale o totale dei tribunali e di altre attività legali ha causato ulteriori ritardi per i cristiani reclusi in attesa di giudizio. In secondo luogo – spiega ancora lo studio -, dal momento che le funzioni religiose si sono spostate online in risposta al virus e in linea con il lockdown e le altre misure di sicurezza, i governi autoritari hanno potuto aumentare la sorveglianza e la repressione di coloro che sono stati trovati a partecipare a presunte attività illegali. La Fondazione pontificia sottolinea poi che la Cina può essere considerata la principale protagonista per l’aumento della persecuzione dei cristiani durante la pandemia. La crisi ha infatti fornito ai persecutori l’opportunità di colpire mentre tutte le attenzioni erano rivolte a fronteggiare l’emergenza del coronavirus. Invece, in altre aree geografiche sono stati i soggetti non governativi, violenti nei confronti dei cristiani, ad avere tratto vantaggio dall’indebolimento dei governi impegnati ad affrontare il problema schiacciante della pandemia.

Libera i tuoi prigionieri si concentra su alcuni Paesi in cui persecuzioni sono particolarmente cruente. In Nigeria il sequestro di cristiani rappresenta un fenomeno molto diffuso. Ogni anno più di 220 fedeli vengono rapiti e imprigionati ingiustamente da gruppi di miliziani jihadisti. I sequestri di persona a scopo di riscatto sfociano spesso in uccisioni di sacerdoti protestanti e cattolici. In Pakistan annualmente si verificano circa 1.000 casi di conversioni forzate di ragazze e giovani donne cristiane e indù. Esiste un problema simile in Egitto, dove giovani donne cristiane copte vengono rapite e costrette a sposare i loro rapitori non cristiani. Secondo alcune fonti almeno due o tre ragazze scompaiono ogni giorno a Giza, per cui il numero di casi portati all’attenzione pubblica risulta significativamente inferiore a quello effettivo dei rapimenti.

E poi ancora Acs riferisce che in Corea del Nord si stima vi siano circa 50.000 cristiani nei campi di lavoro, cioè quasi il 50% del totale dei detenuti in queste particolari e drammatiche condizioni. Grave la situazione anche in Eritrea, dove si stimano più di 1.000 fedeli cristiani ingiustamente detenuti. In Myanmar lo United Wa State Army è stato accusato di aver orchestrato una campagna di terrore prendendo di mira i cristiani con il pretesto di combattere il presunto “estremismo religioso”. Si calcola che, a partire dal 2018, l’esercito abbia interrogato e arrestato 100 pastori e reclutato con la forza studenti cristiani. In Iran informazioni non confermate di un incremento dei convertiti al cristianesimo sono state addotte come causa dei nuovi provvedimenti restrittivi del regime islamico ai danni dei fedeli.

Il rapporto è corredato da venti “casi di studio”, ovvero storie di singoli perseguitati, come Abune Antonios, divenuto Patriarca della Chiesa eritrea ortodossa di Tawahedo nel 2004 e agli arresti domiciliari dal 2007, sebbene non sia mai stata presentata alcuna accusa formale contro di lui; l’infermiera cristiana nigeriana Alice Ngaddah, sequestrata dalla fazione di Abubakar Shekau di Boko Haram il 1° marzo 2018 e i sacerdoti cinesi padre Zhang Guilin e padre Wang Zhong della diocesi di Chongli-Xiwanzi presi in custodia dalle autorità l’11 ottobre 2018. L’esempio di chi confessa la fede in Cristo a rischio della vita scuote dunque le coscienze di noi credenti occidentali che spesso ci trasciniamo a Messa privi di ogni slancio. A questi fratelli nella fede dovremmo dedicare più impegno per il pieno raggiungimento della libertà religiosa.