Cliff Effect, il monito della BCE

Il 2020, che si sta per concludere, è stato senza dubbio un anno difficile, non solo per l’Italia, per via del cigno nero, rappresentato dalla pandemia, in corso che ha arrecato un colpo poderoso a tutte le economie sviluppate, tranne forse la Cina stando ai dati (sempre che siano attendibili), provocando la peggiore recessione degli ultimi decenni, possibilmente peggiore di quella del 1929 che era divenuta quasi proverbiale.

Per contrastare gli effetti negativi è stata messa in campo una “potenza di fuoco” finanziaria e normativa che non ha mai avuto paragoni nella storia umana, tra misure atte a evitare il crollo dei tassi di occupazione e aiuti erogati a imprese e famiglie.

Solitamente, un intervento pubblico di queste dimensioni, avrebbe acceso un dibattito feroce, non solo tra interventisti e liberisti ma anche in sede europea, tra “rigoristi” e “flessibilisti” (in materia di bilancio pubblico, ovviamente).

Nonostante i “rigoristi”, obtorto collo e seguendo un apprezzabile senso di responsabilità, abbiano abbassato i toni e avallato le misure prese a livello europeo sia verso una maggiore flessibilità nei bilanci degli Stati membri sia sull’opportunità del primo vero programma di aiuti europeo, quel celebre Recovery Fund o Next Generation EU che, oggi, rimane sospeso e in bilico per via dell’opposizione di alcuni stati all’approvazione del bilancio dell’Unione per ritorsione alle pressioni ricevute per l’adeguamento dello stato di diritto al resto d’Europa, l’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria della BCE pone l’accento su un rischio pesantissimo che si potrebbe correre una volta finita l’emergenza.

Lo chiamano Cliff Effect, letteralmente “effetto scogliera”, cioè un’amplificazione sproporzionata degli effetti, positivi o negativi, di un’azione. Si parla, ovviamente, dell’effetto del ritiro di parte o di tutti gli interventi di sostegno all’economia che i vari Paesi membri dell’Unione hanno messo in campo in questi mesi.

Come è noto l’economia ha una ripresa simile a quella di vecchio diesel, parte in sordina e, poi, accelera progressivamente, per questo a un improvviso stop potrebbe seguire diverso tempo prima che il sistema produttivo torni a regime, in questo scenario s’innestano gli aiuti di stato.

Un intervento efficace, infatti, non va a sovvenzionare meramente ma è un investimento sulla tenuta e sulla ripartenza della produttività, da parte aziendale, e di consumi, da parte delle famiglie.

È evidente che, mentre gli aiuti alle famiglie siano a “fondo perduto” (non esattamente vero, perché saranno coperti dalle imposte versate, oggi o in futuro) quelli per le imprese hanno un aspetto più complesso e vi rientrano non solo i trasferimenti ma anche e soprattutto provvedimenti come le garanzie sui prestiti, le moratorie e i rinvii tributari a sostegno della liquidità aziendale.

La BCE rileva che il venir meno delle misure di sostegno all’economia potrebbe arrivare anche a ostacolare la ripresa “trasformando i problemi di liquidità delle aziende osservati agli inizi della pandemia in problemi di solvibilità”: il punto più problematico, infatti si rileva nell’esposizione di banche e bilanci pubblici al debito delle aziende, un ritiro prematuro delle garanzie e delle moratorie, quindi, potrebbe generare una nuova crescita dei crediti deteriorati e condurre a nuove e maggiori perdite.

Con la fine dell’anno e i primi mesi del 2021, infatti, scadranno sia la possibilità di richiedere le garanzie di SACE ai finanziamenti aziendali (a fine dicembre 2020), le moratorie dei finanziamenti alla PMI (gennaio 2021), altre misure sui saldi tributari in scadenza a fine anno o, al più, nel primo semestre 2021.

Si parla di saldi miliardari, 301mld solo per le moratorie dei finanziamenti per intendersi, che potrebbero rappresentare un colpo fatale per buona parte delle aziende italiane.

In quel caso anche il blocco dei licenziamenti compensato con l’accesso alla Cassa Integrazione finanziata anche dal SURE avrebbe l’effetto di un’aspirina di fronte a una polmonite, per restare in tema sanitario.

Le criticità non riguardano solamente l’Italia ma anche altri stati come Paesi Bassi e Germania che sarebbero quelli a più elevato grado di rischio in caso di ritiro prematuro degli aiuti.

Il problema vero che si pone, però, è il rifinanziamento di tutta questa impalcatura che difficilmente potrà essere sopportato da un singolo stato, soprattutto uno con i conti disastrati come l’Italia da anni di politiche economiche, diciamo, pressapochiste e più orientate al finanziamento della spesa corrente che agli investimenti per creare un volano alla crescita; se non si sbloccasse l’impasse generato dal veto di Polonia e Ungheria all’approvazione del bilancio europeo si vanificherebbe anche l’erogazione dei fondi relativi al programma Next Generation EU, come già anticipato prima del resto, cosa che metterebbe in forse non solo la ripresa manche la tenuta stessa del sistema economico.

Diciamo che, come direbbero i cinesi, ci aspettano tempi interessanti.