Il futuro nero della ristorazione italiana – Video

Interris.it ha raccolto la testimonianza di Piero Cianfanelli proprietario della fraschetta Sora Lella di Ariccia, “a tavola si è perso il senso della convivialità”.

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“Un futuro nero, ecco cosa vediamo” con queste parole Piero Cianfanelli proprietario della storica fraschetta Sora Lella ad Ariccia (provincia di Roma) racconta a Interris.it la condizione della ristorazione tornata all’attività dopo poco più di due mesi di lockdown causa Coronavirus. Gli effetti che investono il settore, su scala nazionale, si manifestano con una forte flessione della clientela e con il conseguente calo del fatturato. A pesare sono principalmente le cancellazioni di prenotazioni storiche (63,7%), segue la riduzione di quelle giornaliere (33,5%) e, da ultimo, si registra un minor flusso di persone in circolazione. A mancare sono i turisti ma anche la clientela locale. Il risultato: una perdita di fatturato di oltre il 30% per il 57% dei ristoratori e tra il 10%-30% per tre imprenditori su dieci. Un calo stimato di circa 8 miliardi secondo l’istituto Fibe.

Come avete accolto l’inizio del lockdown?
“Da imprenditori del settore della ristorazione oltre alla passione, nelle nostre attività, investiamo anche denaro. La notizia del lockdown ci ha spiazzato. Abbiamo accolto il lockdown molto male perché eravamo abituati ad un certo quantitativo di clientela. All’improvviso siamo arrivati a non poter più accogliere nessuno a causa del Coronavirus con delle conseguenze disastrose per le casse del ristorante”.

Avete dei ragazzi che vi aiutavano nei servizi?
“Certo. Purtroppo, però, anche loro sono dovuti rimanere a casa. Come famiglia gestiamo il locale ma ci facciamo aiutare anche da alcuni ragazzi e da due cuoche. Tutti loro, nel periodo di chiusura hanno perso il lavoro. La mia famiglia che vive di questa attività da vent’anni si è ritrovata senza più niente.

Qualcuno ha già ricevuto la cassa integrazione?
“In molti sono in cassa integrazione ma c’è da dire che non a tutti è arrivata. Solo una ragazza l’ha vista arrivare in tempi brevi: duecento euro. Ma non è solo questo il problema. Quando ancora non era possibile aprire, sono continuate ad arrivare le bollette da pagare: luce, acqua, immondizia. Sto parlando di più di 300 euro. Per quanto riguarda l’annoso problema degli affitti sto cercando di mettermi d’accordo con i proprietari che chiedono il pagamento, ma noi siamo stati chiudi per due mesi”.

Da imprenditore come ha vissuto queste difficoltà?
“Tutto ciò ha avuto delle gravi ricadute sulla mia tranquillità e sulla mia salute. La notte non riesco a dormire perché le preoccupazioni sono davvero tante e mi svegliano. Il futuro è buio, nero. Ho perso molti coperti con le nuove disposizioni, ho perso i mesi più importanti: aprile e maggio con le feste ci hanno sempre assicurato un guadagno. In famiglia ci siamo incoraggiati l’un l’altro, con la speranza di poter riaprire almeno per le feste pasquali. Ma così non è stato. Quel periodo per noi significa un’intera stagione perché l’estate le persone preferiscono passarle al mare mentre l’inverno è freddo e lungo. I mesi migliori sono stati ormai persi. E anche con la riapertura abbiamo dovuto spendere ancora per pagare le bollette e sanificare gli ambienti”.

La riapertura che cosa ha significato per lei?
“Quando ho saputo della possibilità di riaprire è davvero gioioso. Ma ho sentito anche la paura: riattivare il locale significa cominciare a pensare ai costi che si alzano. I costi fissi come la luce ma anche quelli relativi al personale che ho richiamato perché da soli non si va da nessuna parte nella gestione di un locale. Inoltre, abbiamo anche dialogato con i fornitori per i pagamenti. Sono sopraggiunte ulteriori uscite per la sanificazione degli ambienti e per l’acquisto delle mascherine e dei guanti. Alcuni di questi pagamenti sono in sospeso e con alcuni fornitori ho concordato per la rateizzazione. Insomma, si riparte da zero”.

Il suo locale ha dovuto cambiare volto?
“Si, ho perso quindici tavoli, quindi 120 persone. Quelli rimasti sono posizionati ad una distanza di due metri. Non posso mettere per esempio venti persone in un tavolo. Le devo separare a gruppi di cinque. Solo le famiglie possono restare vicino, mentre gli amici distanti. Ci sono molti controlli da parte delle forze dell’ordine”.

Con il tuo personale c’è stato un dialogo in questi difficili mesi?
“Un dialogo costante. E mi vergogno a dirlo: ci siamo messi a piangere tutti insieme. Quando ascoltavamo le notizie ai telegiornali che riportavano il procrastinarsi delle riaperture, a casa si piangeva. Perché dopo vent’anni di sacrifici comprendi di aver perso tutto, di dover ricominciare da meno di zero. Ora, decidiamo di riaprire ma i clienti sono davvero pochi e soprattutto molto spaventati. Ci sono più preoccupazioni in questi giorni che prima. Per il futuro sono positivo, la stagione estiva spero che porti un aumento delle attività. Dopo venti anni, continuerò a fare dei sacrifici ma non si può mollare”.

Il due giugno vi ha dato un po’ di respiro?
“Dopo due settimane dalla riapertura quando veramente le cose stentavano a decollare, il due giugno ha significato una luce seppur fievole alla fine del tunnel. Ma comunque il numero di coperti è drasticamente sceso e le persone, se comparate agli anni precedenti, sono poche. Da duecento a più o meno settanta. Così, riesco a pagarci solo le bollette e l’affitto. Mi alzo la mattina e penso che vado a lavorare con quei soli obiettivi. Finché non si permetterà di riaprire effettivamente come prima la situazione sarà complicata. Il fatto che gli amici devono essere divisi al tavolo ha significato perdere decine e decine di prenotazioni. I controlli ci sono”.

Ha dovuto tagliare il personale?
“Purtroppo, sì. Il lavoro è di meno rispetto ai tempi di normalità. Quindi una cuoca ho dovuto lasciarla a casa, senza più lavoro. Allo stesso modo alcuni camerieri. Il dispiacere è profondo. Scrivo loro molti messaggi per incoraggiarli a tenere duro, sperando che presto tutto torni alla normalità”.

I primi clienti che sono venuti da lei dopo il lockdown come hanno reagito?
“Le cose sono sostanzialmente cambiate. Sin dalla telefonata per prenotare. Ci chiedono se abbiamo svolto la sanificazione, se ci sono i tavoli a distanza. Alcuni chiedono di poter vivere convivialmente in famiglia un pranzo o una cena, ma sopra un certo numero non si può. Altri domandano se bisogna portare l’autocertificazione. In fraschetta si sta storicamente tutti insieme. Le persone hanno paura. Si è perso il tratto tipico dell’estremo calore, del folgorante entusiasmo del pranzo nella fraschetta tra vino e musica”.