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Argentina, ultimo tango per la Casa Rosada: “Ma il popolo è sfiduciato”

Sergio Massa sfida Javier Milei per la presidenza argentina. Eppure, mai come in questo momento, la fiducia del popolo è al minimo. Elisabetta Piqué (La Nacion) a Interris.it: "C'è frustrazione"

La Casa Rosada all’orizzonte, con un tragitto costellato di ostacoli, visibili e invisibili. Col fantasma dell’inflazione decisamente corporeo, una crisi incancrenita e una povertà che rende difficile ragionare sul futuro. Persino trattenere i giovani e convincerli della bontà di un nuovo corso politico è complicato, nonostante al ballottaggio si presenti un candidato (Javier Milei, opposto a Sergio Massa) che fa leva proprio sulla spinta riformatrice della nuova forza lavoro. L’Argentina deve scegliere ma rischia di farlo senza convinzione, disillusa dalla classe politica e, ora, anche dalle prospettive di risalire la china. Eppure il potenziale c’è, sia umano che di risorse. Forse basterebbe una visione nuova, riformatrice per davvero. Magari con un occhio di riguardo ai vecchi partner, come l’Italia. Tuttavia, “mai come in questo momento – ha raccontato a Interris.it Elisabetta Piqué, corrispondente dal Vaticano per il quotidiano La Nación – c’è scetticismo sulla classe politica”.

 

Cristina, l’esito del ballottaggio darà una nuova presidenza all’Argentina: è realistico pensare che, a prescindere dall’esito, possa essere l’inizio di un nuovo corso politico?
“In realtà si tratta di elezioni senza precedenti, perché la gente non è mai stata così scettica sulla politica e i politici. Anche il successo del movimento di Javier Milei è stato dovuto a questo sentimento. In questi ultimi dieci anni, con qualsiasi governo, ogni volta la situazione è stata più disastrosa. Quindi le persone vanno a votare senza essere convinte dei candidati, né di Massa, ministro dell’Economia attuale sul quale pesa il 150% di inflazione, né di Milei. C’è un sentimento di frustrazione assoluta. La sensazione è che si tratta di andare votare secondo il detto ‘De Guatemala a Guatepeor’, inteso come di male in peggio”.

Insomma, c’è il rischio che non cambi nulla…
“L’opposizione, un anno fa, avrebbe detto ‘vinciamo di sicuro’, poi si è divisa. Il risultato è stato Milei contro l’oficialismo, ossia Massa. Il quale non è nemmeno identificabile, poi, con il kirchnerismo che si dice di voler sconfiggere. Avere quindi queste due opzioni non incontra il gradimento delle persone. E ce ne sono molte che potrebbero non andare a votare o addirittura votare in bianco. Si tratta di un panorama mai visto di scetticismo totale. Il dibattito di domenica scorsa, come notato da alcuni analisti, non ha avuto un vincitore ma una sconfitta, l’Argentina, proprio per la mancanza di idee e di proposte. La prospettiva è disastrosa”.

Quanto pesano le difficoltà nella sussistenza, tra disoccupazione e lavoro nero? C’è posto per le speranze giovanili? 
“Il grande vantaggio dell’Argentina è che si tratta di un Paese enorme, sia pure con poca gente rispetto alle sue dimensioni, e soprattutto ricchissimo di risorse, sia umane che naturali. Sul perché tutto questo non abbia portato a un benessere, la risposta potrebbe essere nell’enorme corruzione e in una classe politica non all’altezza. L’Argentina è in una crisi ciclica, quasi endemica, nonostante sia un Paese ricchissimo, con persone molto preparata. Chiaramente, con la crisi, c’è stato un calo nell’educazione e in altri parametri con l’aumento spaventoso della povertà. Di sicuro, alla luce delle caratteristiche del Paese, qualcuno pensa che sia possibile coltivare sentimenti di speranza. Il problema è che, in questo momento, c’è un enorme scetticismo sulla classe dirigente e politica. E Milei è votato proprio da molti giovani che chiedono un cambio e sono in qualche modo attratti anche da proposte poco fattibili”.

Ad esempio?
“Secondo gli economisti, uno degli intenti del suo programma sarebbe l’eliminazione della Banca centrale, la dollarizzazione”.

Le relazioni culturali con l’Italia, visto anche il comune – seppur diverso – periodo di crisi, avrebbero potuto portare entrambi i Paesi ad aiutarsi per venirne fuori. Non è successo per scarsa lungimiranza politica?
“Probabilmente. Ma è anche vero che, negli ultimi anni, vedere una politica economica che non produceva alcun vantaggio ha scoraggiato le imprese a investire o le ha spinte ad andar via. Non a caso è la Cina a essere diventata uno dei principali partner commerciali del Paese, nonostante Milei, in campagna elettorale, abbia detto di non voler intrattenere rapporti con Pechino. E lo stesso avrebbe intenzione di fare con il Brasile, secondo partner commerciale del Paese. È molto pericoloso quello che potrebbe succedere”.

E con Roma?
“L’Italia dovrebbe rivestire il ruolo di primo partner ma, negli ultimi anni, il suo peso specifico è diminuito a favore della Spagna, attualmente il Paese europeo con relazioni commerciali più significative. È però anche vero che la crisi endemica argentina non ha favorito la permanenza di alcune imprese”.

Forse ci si poteva aspettare che l’elezione pontificia di Bergoglio potesse spostare qualche equilibrio sociale. Questo evento ha avuto un peso in questi dieci anni? 
“A livello politico, quando è stato eletto, come arcivescovo di Buenos Aires era considerato una figura di opposizione. In quel momento, la società argentina in opposizione al kirchnerismo, si era illusa che l’elezione del Pontefice potesse aiutare l’Argentina a disfarsene. Invece è chiaro che il Papa è una figura super partes, che non avrebbe potuto intromettersi nella politica argentina, anche se molti hanno tentato di ‘usarlo’ in questo senso. E questo è successo spesso negli ultimi dieci anni. Ad esempio, quando ricevette Cristina Kirchner, all’epoca presidente, una parte dell’opinione pubblica in Argentina gli affibbiò l’epiteto di kirchnerista”.

Per questo la visita in Argentina tarda così tanto?
“Molti l’avrebbero voluta, anche per motivi politici. E probabilmente anche per questo il Papa non ha voluto farla. Forse lo farà il prossimo anno, vedremo. Appunto per questa ‘politicizzazione’ che c’è stata della sua figura, pochi in Argentina, e questo mi dispiace molto, ne hanno compreso l’enormità, il peso come argentino più importante del mondo. A un certo punto lui ha anche cercato di aiutare il Paese, quando c’era la negoziazione con il fondo monetario internazionale. Ora c’è una campagna dei curas villeros per farlo andare con slogan del tipo ‘Il popolo ti aspetta’. Tuttavia, tutt’oggi, resta ancora questa tendenza a manipolarne e politicizzarne la figura”.

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