Governo Draghi: le sfide per il prossimo futuro

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, alla conferenza stampa conclusiva del G20 a Roma, ha affermato che “Negli ultimi anni la capacità dei Paesi del G20 di lavorare insieme è diminuita. Ma è cambiato qualcosa e questo vertice mi rende fiducioso sulla capacità di risolvere quelle che abbiamo imparato nostro malgrado essere le sfide globali del nostro tempo”.

Al di là dei reali, pochi secondo molti osservatori, risultati del vertice internazionale di Roma, il capo del governo di un dato può andare fiero: la ritrovata visibilità internazionale del nostro Paese. Era da un po’ di tempo che l’Italia veleggiava nel limbo dei rapporti bilaterali, offuscata, da politiche estere inconcludenti. Oggettivamente la ritrovata posizione all’interno del G20 non dipende certo dalla Farnesina, dove di Di Maio si limita a fare rappresentanza, quanto dal peso di Palazzo Chigi, tornato a far muovere la bilancia a nostro favore. Dunque è da qui che dobbiamo partire per scrutare il futuro.

Partiamo dal decreto concorrenza. Il Consiglio dei ministri, con voto unanime, ha approvato la legge annuale, che andrà ora all’esame del Parlamento, dove inizia il suo cammino. Si tratta di un provvedimento che di annuale, in passato, ha avuto ben poco. Le guerre di trincea delle imprese e i timori dei partiti hanno sempre bloccato sul nascere questa legge. Al punto che due soli governi sono riusciti a vararla: Renzi nel 2015, Draghi l’altro giorno. E il premier in carica rivendica questo risultato. “Nel recente passato, i governi hanno preso due strade. Alcuni hanno proposto misure molto ambiziose senza però cercare il consenso politico – dice il premier -. Il risultato è che in larga parte questi provvedimenti non sono stati attuati, anche per l’opposizione di tanti gruppi d’interesse. Altri governi hanno invece ignorato la questione”. Noi invece, aggiunge Draghi “avviamo un’operazione di trasparenza, e mappiamo le concessioni per spiagge, acque minerali e termali, frequenze. I cittadini potranno verificare quanto ciascun concessionario paghi per esercitare la sua attività”. E verranno così allo scoperto la scarsa redditività di tante, troppe concessioni. La battaglia, ovviamente, è già iniziata e non sarà affatto facile, tanto che le imboscate, da parte delle categorie coinvolte sono già iniziate. E proprio per questo il decreto concorrenza, per il governo Draghi, rappresenta una vera e propria prova di forza, una dimostrazione muscolare per mettere in evidenza la tenuta della maggioranza.

Il governo Draghi vuole tenere il punto su alcune questioni. La stella polare sono le gare pubbliche – aperte a tutti – che metteranno in discussione le rendite di posizione dei soliti noti. Le gare decideranno le concessioni per la gestione dei porti, l’affidamento della distribuzione del gas, gli appalti ai privati per il trasporto locale, l’installazione delle colonnine elettriche. Il risarcimento diretto in caso di incidenti stradali sarà applicato anche dalle compagnie assicurative con sede legale all’estero (novità accolta tiepidamente dall’Assoutenti). Ma dietro l’angolo c’è un fervente movimento, all’interno della maggioranza che sostiene il governo Draghi, con i partiti impegnati ad affrontare le scadenze che la fine dell’anno impone all’agenda politica. Non solo il capitolo dedicato alla legge di Bilancio, il cui testo è stato approvato in Consiglio dei ministri e che ora attende di approdare alle Camere per l’esame del Parlamento.

A scaldare gli animi della discussione c’è anche la scelta sulla proroga dello stato d’emergenza, una condizione con cui ci siamo abituati a convivere a causa dell’unicità di una situazione senza precedenti che la pandemia ci ha imposto di fronteggiare. Al momento non vi sono certezze sulla misura entrata in vigore dal 31 gennaio del 2020, prolungata a suon di rinvii sia da Giuseppe Conte che da Mario Draghi e che vedrà la propria scadenza il prossimo 31 dicembre 2021. Stando alle ultime dichiarazioni rilasciate dal ministro della Salute Roberto Speranza, l’esecutivo potrebbe decidere di rinnovare “senza timore” la misura nel caso dovesse sussistere ancora la necessità stringente di farlo.

A regolare lo stato d’emergenza, che viene deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio, è il comma 3 dell’articolo numero 24 del Codice di Protezione Civile. Al suo interno viene affermato come “la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi”. Nel caso dello stato di emergenza per Covid le proroghe possibili sono però finite già a luglio del 2021 e questo perché il primo provvedimento fu deliberato per 6 mesi e non per un anno. In sostanza, lo stato d’emergenza è scaduto il 31 luglio del 2020, poi è stato prolungato di un anno: una prima volta fino al 31 gennaio del 2021 e una seconda volta fino al 31 luglio del 2021. E infatti per portarlo fino al 31 dicembre prossimo il Governo è dovuto intervenire con una cosiddetta norma primaria, ossia il decreto legge numero 105 del 23 luglio scorso (poi convertito con la legge numero 126 del 16 settembre). Ad oggi quindi, se la scelta ricadesse sull’allungamento ulteriore anche per l’anno 2022, tornerebbe necessario ricorrere ad una nuova norma primaria. Questa eventualità porta con sé tre possibili strade di realizzazione. La prima prevede l’approvazione di un decreto formulato ad hoc da parte del Governo, uno strumento in cui andrebbe indicata la durata provvisoria del nuovo stato d’emergenza, così da poter usufruire di ulteriori eventuali proroghe in futuro. La seconda possibilità sarebbe quella di elaborare un emendamento ad un provvedimento che risulti già in discussione in Parlamento: questa soluzione incontrerebbe però delle inevitabili difficoltà di convergenza da parte dei partiti che sostengono la maggioranza, che dovrebbero così trovare la quadra per una modifica ad uno dei testi già licenziati (tutti con grande fatica) in Consiglio dei ministri. L’ultimo scenario è quello ritenuto da tutti come il più plausibile, ossia l’inserimento di una norma specifica all’interno del decreto Milleproroghe, che come sempre viene portato alle Camere per risolvere le disposizioni urgenti di fine anno. Insomma, le partite da giocare, per il governo Draghi, sono tutte di alto livello