Agapito Ludovici (Wwf): “Le soluzioni per gestire il territorio e i corsi d’acqua”

L’intervista di Interris.it al biologo, esperto di conservazione naturale e responsabile area “Rete e Oasi” Wwf Italia Andrea Agapito Ludovici

A destra: Le zone alluvionate (© Comitato CRI regionale Toscana) A sinistra: per gentile concessione del dott. Andrea Agapito Ludovici

Una corretta gestione del territorio è fondamentale per la sua “tenuta” quando si verificano fenomeni meteorologici estremi, sempre più frequenti per effetto del cambiamento climatico. In mancanza di questa, e di fronte a un uso e a un consumo del suolo crescente per via delle attività antropiche, l’impatto rischia di materializzarsi in danni alle cose e alle persone.

Tre volte

Nel giro di un anno, le notizie su allagamenti e inondazioni, con il loro triste bilancio di vite spezzate, abitazioni e attività commerciali spazzate via, hanno occupate le pagine dei quotidiani e le homepage dei giornali online in tre occasioni. A settembre 2022, un’alluvione ha colpito le Marche tra le province di Ancona e di Pesaro-Urbino, con 13 vittime. A maggio scorso è finita sotto l’acqua e il fango una vasta porzione di Emilia Romagna. In quell’occasione hanno perso la vita 17 persone. Pochi giorni fa la tempesta Ciaran si è abbattuta sulla Toscana, con inondazioni nelle province di Firenze, Prato, Pistoia, Pisa, Livorno e Viareggio. I morti sono stati otto.

Acqua e suolo

“L’acqua che prima cadeva in pochi mesi adesso scende in poche ore e i terreni non riescono ad assorbirla facilmente, inoltre assistiamo a un tendenza crescente di consumo del suolo in aree a rischio idrogeologico o soggette a inondazione”, spiega intervistato da Interris.it Andrea Agapito Ludovici, biologo, esperto di conservazione della natura e rinaturazione fluviale, responsabile area “Rete e Oasi” di Wwf Italia. “Dobbiamo ripensare la gestione dei fiumi e recuperare e ripristinare i servizi ecologici per adattare i territori ai cambiamenti climatici”, aggiunge.

L’intervista

Prima l’alluvione nelle Marche, poi quella in Emilia Romagna e adesso in Toscana. Possiamo ancora parlare “solo” di maltempo o dobbiamo chiamarla crisi climatica?

“I cambiamenti climatici sono noti dal 1970. Lo scriveva già nella sua relazione dopo l’alluvione di Firenze la commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e la difesa del suolo presieduta dall’accademico Giulio De Marchi. E in questi ultimi anni il Gruppo intergovernativo per il cambiamento climatico (Ipccc) ha prodotto tanta documentazione su questo tema. Dobbiamo adottare il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici e pensare a interventi per la mitigazione dei danni, altrimenti rischiamo che siano gli eventi come questi a rimodellare il territorio, con l’acqua che sfonda e allaga quelle che una volta erano zone umide. Già nel 2016 in un rapporto sull’Emilia Romagna avevamo parlato dei tagli a raso e degli interventi che riducono i servizi ecosistemici del fiume, che invece hanno una funzione depurativa”.

Ci spiega cos’è successo in Toscana?

“Le piogge eccezionali di alcuni giorni fa sono sempre più violente e sempre più frequenti e quando questi eventi avvengono in territori antropizzati, con un altissimo livello di artificializzazione e impermeabilizzati, dove sono state ridotte le aree di esondazione naturale dei fiumi, dove i corsi d’acqua sono stati canalizzati e dove spesso è stata anche tolta la vegetazione ripariale, l’acqua ha meno spazio, acquista velocità e raggiunge prima del normale i picchi di piena, esondando. Il Wwf critica da tempo la gestione e la manutenzione del reticolo idrografico in Toscana da parte dei consorzi bonifica, per esempio lungo i fiumi Ombrone, che infatti ha dato problemi, e Bisenzio, dove è stata rovinata la fascia riparia. Differentemente, la diga del Bilancino e le casse di espansione lungo l’Arno hanno funzionato”.

Cosa bisogna fare per una corretta gestione del territorio, in questo caso i corsi d’acqua, e per il ripristino dei servizi ecosistemici?

“Nei centri urbani si possono recuperare aree marginali dove realizzare delle trincee drenanti per trattenere l’acqua e ricaricare le falde, in modo tale che non finisca direttamente nel fiume più vicino o nei tombini. Altri sfoghi possono essere parcheggi che non siano spianate di cemento ma superfici che consentano il drenaggio dell’acqua. Nelle campagne si possono creare aree di infiltrazione naturale, simili a siepi, per convogliare l’acqua in delle canalette, ombreggiare e favorire la biodiversità. Il ripristino delle aree boschive permette di assorbire le emissioni di CO2 e il recupero delle zone umide ai lati dei corsi fluviali consente di trattenere i nutrienti dalle sostanze azotate. E lo stesso si può ottenere in agricoltura. Un’altra semplice soluzione è quella di pulire i fiumi solo dopo che hanno raggiunto la massima capacità di assorbimento”.