Noi come Aladino: raccogliamo i desideri dei ragazzi in carcere – Video

Intervista a Marco Lovato e Laura Lubatti, membri dell'Apg23 e ideatori del progetto di scrittura creativa

Le cose belle prima si fanno e poi si pensano“, era solito ripetere fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, don Oreste Benzi. E’ proprio così che hanno fatto Marco Lovato e Laura Lubatti, marito e moglie, e mamma e papà di una casa famiglia situata a Santa Venarina, in provincia di Catania, che hanno ideato un progetto di scrittura creativa per rimanere vicini, nonostante il distanziamento sociale imposto per evitare il diffondersi del contagio da coronavirus, ai ragazzi dell’Istituto penitenziario minorile di Acireale.

La lampada dei desideri

“Purtroppo a causa del coronavirus abbiamo dovuto sospendere tutte le nostre attività con l’Ipm di Acireale – racconta Marco a Interris.it -. Con la direzione e gli educatori abbiamo pensato di continuare a farci prossimi con delle videochiamate. Per essere ancora più vicini, con i nostri ragazzi abbiamo pensato di creare un laboratorio di scrittura creativa, partendo dalla favola di Aladino. Questo ragazzo che rimane intrappolato in una grotta, che può essere paragonata alla cella di una prigione, alle nostre case dove siamo dovuti rimanere in quarantena, a una stanza di ospedale”. Ognuno ha a disposizione due desideri, un personale e uno per il mondo intero. “E’ iniziato così il laboratorio, che ha avuto un’eco che non ci aspettavamo, ci è piaciuto molto – spiega – E’ un modo per poter mettere in collegamento i ragazzi con difficoltà, un modo per far sì che siano ascoltati anche lontano. E’ nato tutto dalla semplicità, da un rapporto bello che già esisteva“.

La “sperimentazione” che dà frutti

“E’ iniziato un po’ per gioco, in un momento in cui tutti si sperimentano e allora mi sono detta: ‘Perché noi no?’. A spingerci è stata anche la situazione che si è vissuta nelle carceri, momenti molto pesanti di isolamento, di rivolta e quindi ci siamo interrogati su come stare vicini a questi ragazzi che conosciamo da tanti anni – spiega Laura a Interris.it – I disegni del video sono stati realizzati dai bambini della nostra casa famiglia. Il laboratorio ha preso piede. Mi ha chiamato da Torino, un membro dell’Apg23, che sta cercando di far partire lo stesso progetto in carcere. A Pisa, c’è un gruppo giovani che probabilmente non potrà farlo in carcere, ma è comunque un attività che si può fare anche in altri ambienti – ha aggiunto -. La richiesta è che questo laboratorio sia rivolto a tutti coloro che vogliono dire qualcosa. Alla fine, non sappiamo bene cosa ne uscirà. Ci sarà sicuramente un elaborato conclusivo, ma aspettiamo di vedere quali contenuti manderanno i ragazzi“.

La condivisione diretta

Il fulcro di tutto, spiega Marco, è la condivisione diretta: “Noi non andiamo a insegnare, ma svolgiamo le attività insieme, come un’unica famiglia. Si crea un incontro sullo stesso piano che permette di iniziare un dialogo”. Nell’Ipm sono state sospese, a causa del coronavirus, le visite dall’esterno di familiari, ma anche i tirocini, le borse lavoro, la possibilità per alcuni ragazzi di uscire e andare nella struttura dell’Apg23. “La direttrice, gli educatori e il cappellano sono stati veramente splendidi in questo, hanno cercato di portare avanti la loro comunità, valorizzando, cercando di far comprendere il dramma che ha colpito il Paese. Si sono attivati affinché i ragazzi potessero fare le videochiamate e farli sentire vicini alle loro famiglia. Stanno facendo un lavoro molto bello“.

La quarantena e la riscoperta dei valori veri

“Dobbiamo ringraziare il Signore. In casa famiglia in questo momento siamo in tredici. E’ stata una bella sfida, siamo tornati ad aiutarci e ad essere l’uno custode dell’altro: dal non ammalarsi, allo stare chiusi in casa, al rispetto delle regole. E’ stata veramente un’esperienza straordinaria che ci ha fatto riscoprire la bellezza di stare in famiglia – racconta Marco -. Questo stare chiusi in questa grotta, come dicevamo nel video, ma che ci ha dato sempre protezione, ci aiutato a sentirci vicini. L’avere tempo per stare insieme, cucinare, fare i compiti, con tempi più ampi rispetto alle ‘corse’ che facevamo prima. E’ stato, come per tutti un momento difficile, ma anche profondo. Il fatto di vivere in casa, anche con portatori di handicap grave, è servito a riscoprire il vero valore di quello che davamo per scontato“.