Unicef: a Lampedusa tra i migranti minori non accompagnati

Il soggiorno del portavoce di Unicef Italia tra i minori sbarcati a Lampedusa

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A destra Nicola Dell'Arciprete. Foto di Ana Toledo su Unsplash

Nicola Dell’Arciprete, coordinatore per la risposta rifugiati e migranti di Unicef in Italia, ha spiegato ad Interris.it che cosa il portavoce Andrea Iacomini ha visto durante il suo recente viaggio a Lampedusa dove ha incontrato molti giovani migranti non accompagnati

L’Unicef comunica che nel periodo che va da gennaio alla metà di settembre 2023 sono stati circa 11.600 i minori stranieri non accompagnati che hanno attraversato il Mediterraneo centrale per raggiungere l’Italia senza i loro genitori o tutori legali. Si tratta di un numero in aumento del 60% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando erano circa 7.200 i minorenni non accompagnati ad approdare nella nostra penisola. Questi bambini e ragazzi vengono spesso imbarcati su gommoni sovraffollati o su barche da pesca in legno, inadatte alle cattive condizioni atmosferiche. Alcuni vengono alloggiati nella stiva della nave, altri su chiatte di ferro,  particolarmente pericolose per la navigazione.

L’intervista 

Interris.it ha intervistato Nicola Dell’Arciprete, coordinatore per la risposta rifugiati e migranti di Unicef in Italia che ha raccontato il recente soggiorno a Lampedusa del portavoce dell’Unicef Andrea Iacomini, durante il quale ha avuto modo di vedere gli occhi speranzosi e stanchi dei migranti. 

Nicola che cosa è emerso da questo soggiorno a Lampedusa?

“Andrea ha testato con mano la vita sull’isola. Ha trascorso molto tempo nei luoghi degli sbarchi, ha visitato l’hotspot gestito dalla Croce Rossa e si imbarcato con la Guardia Costiera, impegnata con i salvataggi in mare. Ha poi avuto modo di incontrare alcuni dei stranieri minori non accompagnati che in quei giorni erano ospitati nell’hotspot, di parlare con loro e di capire quali sono i loro bisogni e le loro paure”.

Quale è stato il primo impatto con questa realtà?

“Ci si rende subito conto che ci si trova in una piccola isola che improvvisamente si è trovata ad essere la porta di ingresso per moltissimi migranti che scappano dalla propria terra. Lampedusa non è il punto di arrivo, ma solo il primo passo prima del trasferimento in altri centri della penisola italiana. In questo processo c’è una grande attenzione verso i minori in quanto l’hotspot non è un luogo adeguato in cui far soggiornare per più di qualche giorno questi minorenni e per questo anche in caso di emergenza si fa di tutto perché siano i primi ad essere trasferiti in strutture idonee”.

Come la popolazione di Lampedusa vive tutto questo?

“Durante il flusso consistente delle settimane scorse in un solo giorno sono arrivate 4800 persone e ad un certo punto l’hotspot si è trovato ad ospitare 7000 migranti, un numero molto superiore rispetto alla capienza massima del centro. A Lampedusa ci sono circa 6000 abitanti e anche in quei giorni di emergenza la popolazione ha dimostrato una grande solidarietà verso i migranti. Abbiamo assistito a scene molto belle di ristoratori e di albergatori che si sono messi a servizio donando la propria ospitalità e di cittadini comuni che hanno offerto ciò che avevano, come viveri e vestiti”. 

Qual è lo stato d’animo dei minori che approdano in Italia?

“Noi troppo spesso parliamo di grandi numeri, ma dietro ci sono storie di persone in carne e d’ossa. Si tratta di bambini e di ragazzi che sono scappati da situazioni di grande povertà e hanno affrondato una traversata insidiosa su barchini affollati e durante la quale sono stati a rischio di violenza e di sfruttamento. Per questo portano sulla propria pelle i segni di questo viaggio come alcune ferite profonde, e altre non visibili che segnano la loro salute mentale”.

Che necessità hanno?

“Innanzitutto di un supporto psicosociale che va garantito fin dal primo momento. Per questo motivo è fondamentale mettere a loro disposizione del personale specializzato come dei mediatori culturali e dei medici in grado di riconoscere subito eventuali segni di stress e di violenza. Solo in questo modo si può indirizzare ogni singolo alle cure adeguate. Si tratta di ragazzi soli, pieni di speranza, ma anche di paure e per questo hanno bisogno di essere al corrente dei propri diritti e del percorso che li aspetta”.