ORRORE E MISTERO A BRESCIA

Dopo un interrogatorio durato 7 ore, i due uomini che erano stati fermati dalla polizia per l’omicidio dei coniugi Seramondi hanno confessato il delitto. “Abbiamo raccolto la confessione piena di chi ha commesso il duplice omicidio”, ha detto il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno. Gli autori dell’agguato – un indiano e un pakistano – già un mese fa furono protagonisti di un’aggressione ai danni di un dipendente della piccola ditta.

Frank e i due assassini avevano dissapori sul piano economico. Alcuni anni fa la vittima aveva ceduto ai due il locale “Dolce e salato”, la prima pizzeria di Seramondi che si trovava sull’altro lato della piazzetta. Ma la crisi e un’ordinanza del Comune di Brescia che ne ordinava la chiusura entro le 22, hanno contribuito al fallimento dell’attività. “Ho ucciso Frank perché vendeva di più”,  ha dichiarato il pachistano Muhammad Adnan, 32 anni, reo confesso insieme all’altro uomo arrestato, Sarbjit Signh di 33 anni.

Il movente però sembra debole. Nella casa dei coniugi Seramondi, gli inquirenti avrebbero trovato centinaia di migliaia di euro. Ad anticipare la notizia è stato l’inviato di News Mediaset, Enrico Fedocci, che ha comunicato il ritrovamento di un vero e proprio tesoro, compiuto dalla Squadra Mobile di Brescia. Denaro in contante di cui non si trova traccia sui libri contabili o nei conti bancari intestati alle società riconducibili ai due coniugi uccisi. “Una cifra spropositata – avrebbe rivelato una fonte confidenziale – che non sarebbe compatibile neanche con la consuetudine di alcuni imprenditori di conservare denaro frutto di commercio in nero”. Un giallo nel giallo, che allontana l’ipotesi di un delitto commesso solamente per motivi economici, ma che fa pensare sempre di più ad un regolamento di conti di stampo mafioso.

Lo scorso martedì due uomini sono arrivati con uno scooter di fronte alla pizzeria da Frank, sono entrati nell’attività e hanno fatto fuoco contro i due coniugio. La donna Giovanna Ferrari, è morta sul colpo, mentre il marito, Giovanni Ferrari è deceduto poco dopo in ospedale.

Un contributo prezioso al lavoro degli investigatori bresciani, è stato fornito dalle telecamere di videosorveglianza poste al di fuori del locale, inoltre uno dei due arrestati aveva lasciato un’impronta digitale all’interno della pizzeria. Ciò ha permesso alle forze dell’ordine di identificare i due uomini e ritrovare l’arma del delitto, un fucile a canne mozze, e lo scooter.

Il pachistano Adnan, dopo aver compiuto il delitto è tornato al suo lavoro e ha rilasciato anche delle dichiarazioni ad alcuni giornalisti lamentandosi del degrado, della poca sicurezza e dell’alta concentrazione di prostitute nella zona. “Questa zona fa schifo, la polizia dorme”, sono alcune delle parole pronunciate ai microfoni delle televisioni locali.

Immediate le polemiche sull’immigrazione, alimentate dal presunto movente che vedeva un extracomunitario invidioso per il successo di un’attività gestita da italiani; tanto rabbioso da decidere di uccidere. Odio che scatena odio, intolleranza, come se le colpe di uno fossero le colpe di un intero popolo, o peggio di qualunque migrante. Solo alla notizia del ritrovamento del tesoro in casa dei due italiani il tam tam contro i migranti è passato in second’ordine.

Resta il delitto orribile e la ricerca di giustizia – come ha detto anche il figlio dei due coniugi uccisi – non di vendetta. Semmai il problema italiano è proprio questo: la certezza della pena per chi commette un reato, non l’addossare colpe a un intero popolo per il crimine commesso da uno. Vale per gli stranieri, e vale anche per noi italiani.