Martina Rossi, la Cassazione conferma le sentenze di condanna

Tre anni per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenza sessuale. Dichiarati inammissibili i ricorsi

Martina Rossi in un'immagine di dieci anni fa

A dieci anni dalla morte di Martina Rossi, la giovane studentessa genovese deceduta il 3 agosto 2011, precipitando dal sesto piano di un albergo a Palma di Maiorca dove si trovava in vacanza con delle amiche, la quarta sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che il 28 aprile scorso ha condannato a tre anni Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenza sessuale su Martina Rossi e ha dichiarato inammissibili i ricorsi.

“Non ci deve essere più nessuno che possa permettere di far del male a una donna e passarla liscia”, ha detto Bruno Rossi, padre della ragazza. “Ora posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c’è più, ma anche soddisfatto perché il nostro paese è riuscito a fare giustizia“.

La ricostruzione

La vicenda processuale è stata lunga, tanto che la pronuncia della Cassazione è arrivata nell’imminenza della prescrizione. Per la procuratrice generale Elisabetta Ceniccola la ragazza non si è suicidata ma ha scavalcato la balaustra, finendo di sotto, per sfuggire a una violenza sessuale e nella requisitoria si è soffermata in particolare sulla qualificazione del resto, 609 octies, violenza sessuale di gruppo, e non 609 bis, dalla quale dipendono anche i termini di prescrizione. Secondo Per la procuratrice generale è giusta la ricostruzione della Corte d’appello di Firenze, che vede la “la compresenza” dei due nella stanza d’albergo e questo “ha influito negativamente” sulla reazione di Martina, “che si è sentita a maggior ragione in uno stato di soggezione e impossibilitata a difendersi”. Motivo per cui la ragazza, ha sostenuto la pg, avrebbe scelto una via di fuga “più difficile”: invece che uscire dalla porta scavalca la balaustra, “ma non si getta con intento suicidiario”.

La vicenda processuale

I due giovani della provincia di Arezzo erano stati prima condannati a sei anni, poi assolti il 9 giugno del 2020 “perché il fatto non sussiste” dalla Corte d’appello di Firenze che ha dato per buona l’ipotesi del suicidio. E’ stata Cassazione a riaprire il caso, rilevando errori e sottovalutazioni in quella decisione, e disponendo un processo bis, nel quel poi sono stati condannati ad aprile. A fine agosto il processo era già approdato nuovamente in Cassazione, davanti alla sezione feriale e in quella sede è stato calcolato la prescrizione non sarebbe scattata prima di metà ottobre.