LA NUOVA VITA DEL CANALE DI SUEZ

Africa

Mentre attraversava sullo yacht “El-Mahrousa” quel corridoio d’acqua che separa l’Africa dall’Asia Abdel Fattah al-Sisi deve essersi sentito davvero un Faraone. Un sovrano assoluto in odore di divinità, capace di congiungere l’est all’ovest, allargando le rotte commerciali. Il nuovo tratto del Canale di Suez è la grande opera con cui l’attuale presidente egiziano, dopo aver strappato il potere a Mohamed Morsi e ai Fratelli Musulmani, cerca di legittimarsi agli occhi dei suoi concittadini in un momento difficile del Paese. Le tensioni religiose hanno generato instabilità politica e gli attentati di matrice terroristica, anche al Cairo, sono quasi all’ordine del giorno. Non a caso, nel giorno dell’inaugurazione dell’opera, al-Sisi ha ricordato le mille difficoltà incontrate durante i lavori di realizzazione. “Il Canale è stato costruito in circostanze anomale – ha spiegato – sia dal punto di vista economico e della sicurezza”. Durante quest’anno, infatti, “l’Egitto si è battuto contro la più pericolosa ideologia terroristica che, se potesse, farebbe bruciare il mondo” e che ha tentato di “colpire il Paese, facendolo deragliare dal suo percorso di prosperità e stabilità”.

Un benessere che il Presidente spera di raggiungere anche grazie agli introiti che il nuovo Canale porterà. Il passaggio di 97 navi al giorno, contro le 47 che vi potevano transitare sino al 6 agosto scorso, dovrebbe portare in cassa 13 miliardi di dollari entro il 2023, quando l’infrastruttura dovrebbe essere stata completata (ad oggi è stato aperto solo un tratto). Con la sua realizzazione Al Sisi vuole mostrarsi al popolo come il nuovo Gamal Abd el-Nasser, il predecessore che, nel 1956 sfidò Gran Bretagna e Francia con la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez. La linea politica scelta dall’attuale capo di Stato egiziano sembra dunque quella di carpire il consenso attraverso il recupero dello spirito nazionalista e presentarsi alle prossime elezioni con la vittoria in tasca. E la grande opera, conclusa con tre anni d’anticipo, va in questa direzione.

Ma non mancano i lati oscuri. L’istmo è stato finanziato per la quasi totalità dai cittadini tramite l’emissione di bond andati a ruba viste le assicurazioni di un interesse al 12% mentre lo Stato si è impegnato economicamente in minima parte. E’ facile immaginare cosa potrebbe accadere da un punto di vista sociale se i soldi prestati dagli egiziani non dovessero essere restituiti alle condizioni pattuiti e quale impatto economico questa rifusione del debito potrebbe avere sulle già esangui casse nazionali. Senza contare che gli egiziani cominciano a nutrire qualche dubbio sulle promesse Al Sisi. Il presidente aveva garantito l’assunzione di 1 milione di maestranze nei cantieri per l’ampliamento del Canale ma questo progetto non ha avuto significativi impatti occupazionali, considerato che il livello di disagio giovanile continua a rimanere oltre la soglia d’allarme.

C’è poi da valutare quale impatto ambientale avrà l’infrastruttura. Nella foga di andare a dama Al Sisi ha ignorato le perplessità espresse dagli scienziati, specie per quanto riguarda le possibili minacce alle biodiversità del Mediterraneo. In una lettera-appello rivolta al capo di Stato egiziano 500 esperti hanno invitato a effettuare una valutazione sulle eventuali conseguenze derivanti dal creare un passaggio diretto tra l’Oceano Indiano e il Mar Rosso. Ma nessuno ha dato loro ascolto. L’Unione Europea, per bocca del commissario Karmenu Vella, si è detta consapevole dei pericoli derivanti dall’arrivo di specie “aliene invasive”. In una serie di incontri “abbiamo spiegato le nostre preoccupazioni alle autorità egiziane”, ha confermato Enrico Brivio, portavoce di Vella, secondo cui “la Commissione europea continuerà a chiedere alle autorità egiziane di presentare i risultati”. A fare paura è soprattutto la Rhopilema nomadica, una medusa orticante che può raggiungere mezzo metro di lunghezza e il peso di 50 kg. Dopo aver creato enormi danni al turismo israeliano ha raggiunto anche Tunisia e Malta e potrebbe arrivare l’Italia. Senza dimenticare tutti gli altri esseri viventi tropicali che rischiano di sconvolgere un ecosistema acquatico secolare. L’opera è stata realizzata senza osservare le minime procedure ambientali o effettuare studi di fattibilità. Le autorità egiziane hanno proseguito a passo di bulldozer. Anche quando si è trattato di espropriare terreni e radere al suolo case che intralciassero cantieri e scavi. Tutto per dare al Faraone il suo Nilo artificiale.