Il Natale secondo Matteo

Per il giorno di Natale abbiamo chiesto a monsignor Matteo Zuppi, Vescovo ausiliario di Roma, di parlare ai lettori di InTerris.it. Lui che ha avuto l’incarico di occuparsi del cuore di Roma, il centro storico, è però un sacerdote che non si è mai dimenticato delle periferie; ciò che lo caratterizza è infatti il suo amore e la sua passione nel soccorrere i deboli e i poveri. Don Matteo – come si fa chiamare – è nato a Roma nel 1955, quinto di una famiglia numerosa e di grandi tradizioni cattoliche. Incontra giovanissimo quella che diventerà la Comunità di Sant’Egidio, e con essa sarà presente all’inizio dell’impegno nell’Africa Australe e Sub-Sahariana. Il 31 gennaio 2012 è eletto Vescovo ausiliare della diocesi di Roma; riceve la consacrazione episcopale il 14 aprile dello stesso anno per l’imposizione delle mani del cardinale Agostino Vallini.

Un 2014 difficile, tra crisi e violenze. Qual è il significato di questo Natale per i cristiani e per il mondo civile?
“Il significato del Natale è sempre lo stesso e sempre diverso, che è l’incarnazione; non è mai qualcosa di lontano dalla vita, ma ci aiuta a entrare in contatto con essa, con i problemi della realtà, con l’oggi. Credo sia una grande domanda di speranza e di pace, i due messaggi forti in un mondo dove prevale la disillusione e la rassegnazione, il cinismo e il conformismo. La speranza che, in un momento in cui sappiamo di essere al centro di una terza guerra mondiale, si riaccende e ci aiuta a cercare quello che ancora non c’è e a credere che sia possibile”.

Dunque un appuntamento ricco di significati anche per chi non è credente?
“Il Natale parla a tutti, spesso è ancora più sentito da chi non è credente, soprattutto se è alla ricerca; credo sia quel messaggio agli uomini di buona volontà che tutti percepiscono”.

Lei è immerso nel tessuto sociale di Roma, una Capitale oggi ferita nel profondo. Qual è la sua immagine di questo momento?
“Credo ci siano da indentificare e smantellare una serie di sistemi di potere occulti o di complicità, questo senz’altro. Mi sembra che le indagini giudiziarie stiano facendo il proprio corso, non voglio colpevolizzare nessuno ma neanche assolvere a priori. Aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso, ma certo ci si aspetta da chi ha responsabilità di governo – e anche dagli altri – un cambiamento profondo. C’è un sonnambulismo che rimanda, che non vuole rendersi conto, che non vede; credo che la città abbia bisogno di uomini che sappiano amarla e prendersi la responsabilità delle difficoltà e risolverle. Occorre gente che lavori, che viva il proprio impegno come servizio per disintossicarla da tanta rabbia e disillusione”.

Lei è un punto di riferimento della Comunità di Sant’Egidio, che ha fatto dell’attenzione verso i poveri una delle proprie linee guida. Degli ultimi molta gente si ricorda spesso solo nel periodo delle Festività… Qual è oggi il valore della solidarietà?
“E’ chiaro che porsi il problema dei poveri solo a Natale è sbagliato, forse però dobbiamo anche credere che questo periodo ci umanizza un po’; l’importante è non chiudere subito questa disponibilità verso i deboli come se fosse una pausa spirituale in un’esistenza che va avanti per contro proprio. Non si può vivere senza questo messaggio di profonda solidarietà, di condivisione, di umanità; in assenza di questo prevale il cinismo, la violenza, l’aggressività”.

Che rapporto c’è tra la Chiesa diocesana di Roma e il Pontefice?
“Strettissimo. Il Papa è il Vescovo di Roma, si è presentato come tale ed è chiaro che c’è un’empatia, quella che lui ha con tutti e ancor più con le parrocchie di Roma; indubbiamente è un rapporto profondo, e direi filiale. Di piena responsabilità verso Francesco, aiutandolo cioè ad essere credibile nel proporre una Chiesa in uscita, che quindi sia davvero vicina alle attese e alle speranze della gente”.

Sulla scorta di questa riflessione, come è stato recepito il monito sulle 15 piaghe che affliggono la Curia?
“Con un senso di rigore che riguarda tutti quanti, con la giusta attenzione per il volere una Chiesa più evangelica, più vicina alle persone, meno istituzionale e con meno codici interni. Un messaggio molto forte, in linea con ciò che ha sempre detto e con l’impostazione del suo predecessore, papa Benedetto XVI; non dimentichiamoci le parole fermissime che Ratzinger aveva rivolto alla Curia ancora prima della sua elezione. Mi sembra che quelle malattie spirituali siano in realtà un esame di coscienza per tutti”.

Per concludere, Eccellenza ci dice che rapporto personale ha Lei con Papa Bergoglio? 
“Lo conosco da anni, c’è un rapporto di amicizia e di profonda sintonia filiale, perché cerchiamo di vivere secondo le sue indicazioni, e di tradurre anche per la città di Roma la sua visione della Chiesa nel mondo”.