Nel mese di luglio, i cardinali BrandmĆ¼ller, Burke, Sandoval ĆƱiguez, Sarah e Zen Ze-kiun hanno presentato a Papa Francesco cinque domande con la richiesta di un chiarimento riguardo a questioni relative alla interpretazione della “Divina Rivelazione”. Ā Le domande dei porporati, in italiano, e le risposte del Papa, in spagnolo, sono state pubblicate oggi sulĀ sito del Dicastero per la Dottrina della Fede. Riportiamo in forma integrale l’articolo pubblicato da Vatican News.
Il Papa risponde ai Dubia
Papa Francesco ha risposto a 5 Dubia che gli avevano fatto pervenire nel luglio scorso i cardinali Walter BrandmĆ¼ller e Raymond Leo Burke con lāappoggio di altri tre cardinali, Juan Sandoval ĆƱiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-kiun. Le domande dei porporati, in italiano, e le risposte del Papa, in spagnolo, sono state pubblicate oggi sulĀ sito del Dicastero per la Dottrina della Fede. Di seguito il testo con una nostra traduzione in italiano delle risposte del Papa:
1) Dubium circa l’affermazione che si debba reinterpretare la Divina Rivelazione in base ai cambiamenti culturali e antropologici in voga.
Dopo le affermazioni di alcuni vescovi, che non sono state nĆ© corrette nĆ© ritrattate, si chiede se nella Chiesa la Divina Rivelazione debba essere reinterpretata secondo i cambiamenti culturali del nostro tempo e secondo la nuova visione antropologica che questi cambiamenti promuovono; oppure se la Divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile e quindi da non contraddire, secondo il dettato del Concilio Vaticano II, che a Dio che rivela ĆØ dovuta “l’obbedienza della fede”(Dei Verbum 5); che quanto ĆØ rivelato per la salvezza di tutti deve rimanere “per sempre integro” e vivo, e venire “trasmesso a tutte le generazioni” (7) e che il progresso della comprensione non implica alcun mutamento della veritĆ delle cose e delle parole, perchĆ© la fede ĆØ stata “trasmessa una volta per sempre” (8), e il Magistero non ĆØ superiore alla parola di Dio, ma insegna solo ciĆ² che ĆØ stato trasmesso (10).
Risposte di Papa Francesco
Cari fratelli,
benchƩ non sempre mi sembri prudente rispondere alle domande rivoltemi direttamente, e sarebbe impossibile rispondere a tutte, in questo caso ho ritenuto opportuno farlo data la vicinanza del Sinodo.
Risposta alla prima domanda
a) La risposta dipende dal significato che attribuite alla parola “reinterpretare”. Se ĆØ intesa come “interpretare meglio”, l’espressione ĆØ valida. In questo senso, il Concilio Vaticano II affermĆ² che ĆØ necessario che, con il lavoro degli esegeti – e aggiungo, dei teologi – “maturi il giudizio della Chiesa” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 12).
b) Pertanto, se ĆØ vero che la divina Rivelazione ĆØ immutabile e sempre vincolante, la Chiesa deve essere umile e riconoscere di non esaurire mai la sua insondabile ricchezza e di avere bisogno di crescere nella sua comprensione.
c) Di conseguenza, cresce anche nella comprensione di ciĆ² che essa stessa ha affermato nel suo Magistero.
d) I cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a esprimere meglio alcuni aspetti della sua traboccante ricchezza che offre sempre di piĆ¹.
e) Ć inevitabile che ciĆ² possa portare a una migliore espressione di alcune affermazioni passate del Magistero, ed ĆØ infatti successo cosƬ lungo la storia.
f) D’altra parte, ĆØ vero che il Magistero non ĆØ superiore alla Parola di Dio, ma ĆØ anche vero che sia i testi delle Scritture che le testimonianze della Tradizione necessitano di un’interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali. Questo ĆØ evidente, ad esempio, nei testi biblici (come Esodo 21, 20-21) e in alcuni interventi magisteriali che tolleravano la schiavitĆ¹ (Cfr. NiccolĆ² V, Bolla Dum Diversas, 1452). Non ĆØ un argomento secondario dato il suo intimo legame con la veritĆ perenne della dignitĆ inalienabile della persona umana. Questi testi hanno bisogno di un’interpretazione. Lo stesso vale per alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne (1 Corinzi 11, 3-10; 1 Timoteo 2, 11-14) e per altri testi delle Scritture e testimonianze della Tradizione che oggi non possono essere ripetuti cosƬ come sono.
g) Ć importante sottolineare che ciĆ² che non puĆ² cambiare ĆØ ciĆ² che ĆØ stato rivelato “per la salvezza di tutti” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7). PerciĆ² la Chiesa deve discernere costantemente ciĆ² che ĆØ essenziale per la salvezza e ciĆ² che ĆØ secondario o ĆØ meno direttamente connesso a questo obiettivo. Mi interessa ricordare ciĆ² che San Tommaso dāAquino affermava: “quanto piĆ¹ si scende ai particolari, tanto piĆ¹ aumenta l’indeterminatezza” (Summa Theologiae 1-1 1, q. 94, art. 4).
h) Infine, una sola formulazione di una veritĆ non potrĆ mai essere adeguatamente compresa se viene presentata solitaria, isolata dal ricco e armonioso contesto dell’intera Rivelazione. La “gerarchia delle veritĆ ” implica anche collocare ciascuna di esse in adeguata connessione con le veritĆ piĆ¹ centrali e con l’insieme dell’insegnamento della Chiesa. CiĆ² puĆ² infine portare a diversi modi di esporre la stessa dottrina, anche se āa quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciĆ² puĆ² sembrare unāimperfetta dispersione. Ma la realtĆ ĆØ che tale varietĆ aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dellāinesauribile ricchezza del Vangelo (Evangelii gaudium, 40). Ogni corrente teologica ha i suoi rischi, ma anche le sue opportunitĆ .
2) Dubium circa l’affermazione che la diffusa pratica della benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, concorderebbe con la Rivelazione e il Magistero (CCC 2357).
Secondo la Divina Rivelazione, attestata nella Sacra Scrittura, che la Chiesa “per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone” (Dei Verbum IO): “In principio” Dio creĆ² l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creĆ² e li benedisse, perchĆ© fossero fecondi (cfr Gen l, 27-28), per cui l’Apostolo Paolo insegna che negare la differenza sessuale ĆØ la conseguenza della negazione del Creatore (Rom l, 24-32). Si chiede: puĆ² la Chiesa derogare a questo “principio”, considerandolo, in contrasto con quanto insegnato da Veritatis splendor 103, come un semplice ideale, e accettando come “bene possibile” situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni con persone dello stesso sesso, senza venir meno alla dottrina rivelata?
Risposta di Papa Francesco alla seconda domanda
a) La Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli. Solo a questa unione si puĆ² chiamare “matrimonio”. Altre forme di unione lo realizzano solo “in modo parziale e analogico” (Amoris laetitia 292), per cui non possono essere chiamate strettamente “matrimonio”.
b) Non ĆØ solo una questione di nomi, ma la realtĆ che chiamiamo matrimonio ha una costituzione essenziale unica che richiede un nome esclusivo, non applicabile ad altre realtĆ . Senza dubbio ĆØ molto di piĆ¹ di un mero “ideale”.
c) Per questa ragione, la Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo ĆØ.
d) Tuttavia, nel rapporto con le persone, non si deve perdere la caritĆ pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della veritĆ oggettiva non ĆØ l’unica espressione di questa caritĆ , che ĆØ anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono.
e) Pertanto, la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o piĆ¹ persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio. PerchĆ© quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che puĆ² aiutarci a vivere meglio.
f) D’altra parte, sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa caritĆ pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilitĆ puĆ² essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilitĆ soggettiva (Cfr. san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 17).
g) Le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. CioĆØ, non ĆØ opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poichĆ© tutto āciĆ² che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non puĆ² essere elevato al livello di una normaā, perchĆ© questo ādarebbe luogo a una casuistica insopportabileā (Amoris laetitia 304). Il Diritto Canonico non deve nĆ© puĆ² coprire tutto, e nemmeno le Conferenze Episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poichĆ© la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi.
3) Dubium circa l’affermazione che la sinodalitĆ ĆØ “dimensione costitutiva della Chiesa” (Cost.Ap. Episcopalis Communio 6), sƬ che la Chiesa sarebbe per sua natura sinodale.
Dato che il Sinodo dei vescovi non rappresenta il collegio episcopale, ma ĆØ un mero organo consultivo del Papa, in quanto i vescovi, come testimoni della fede, non possono delegare la loro confessione della veritĆ , si chiede se la sinodalitĆ puĆ² essere criterio regolativo supremo del governo permanente della Chiesa senza stravolgere il suo assetto costitutivo voluto dal suo Fondatore, per cui la suprema e piena autoritĆ della Chiesa viene esercitata, sia dal Papa in forza del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme col suo capo il Romano Pontefice (Lumen gentium 22).
Risposta di Papa Francesco alla terza domanda
a) Sebbene riconosciate che l’autoritĆ suprema e piena della Chiesa sia esercitata sia dal Papa a motivo del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme al loro Capo, il Romano Pontefice (Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 22), con queste domande stesse manifestate il vostro bisogno di partecipare, di esprimere liberamente il vostro parere e di collaborare, chiedendo cosƬ una forma di “sinodalitĆ ” nell’esercizio del mio ministero.
b) La Chiesa ĆØ un “mistero di comunione missionaria”, ma questa comunione non ĆØ solo affettiva o eterea, bensƬ implica necessariamente una partecipazione reale: non solo la gerarchia, ma tutto il Popolo di Dio in modi diversi e a diversi livelli puĆ² far sentire la propria voce e sentirsi parte del cammino della Chiesa. In questo senso possiamo dire che la sinodalitĆ , come stile e dinamismo, ĆØ una dimensione essenziale della vita della Chiesa. Su questo punto ha detto cose molto belle san Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte.
c) Altra cosa ĆØ sacralizzare o imporre una determinata metodologia sinodale che piace a un gruppo, trasformarla in norma e percorso obbligatorio per tutti, perchĆ© ciĆ² porterebbe solo a “congelare” il cammino sinodale ignorando le diverse caratteristiche delle diverse Chiese particolari e la variegata ricchezza della Chiesa universale.
4) Dubium circa il sostegno di pastori e teologi alla teoria che “la teologia della Chiesa ĆØ cambiata” e quindi che l’ordinazione sacerdotale possa essere conferita alle donne.
In seguito alle affermazioni di alcuni prelati, che non sono state nĆ© corrette nĆ© ritrattate, secondo cui col Vaticano II sarebbe cambiata la teologia della Chiesa e il significato della Messa, si chiede se ĆØ ancora valido il dettato del Concilio Vaticano II, che “il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale differiscono essenzialmente e non solo di grado” (Lumen Gentium IO) e che i presbiteri in virtĆ¹ del “sacro potere dell’ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati” (Presbyterorum Ordinis 2), agiscono in nome e nella persona di Cristo mediatore, per mezzo del quale ĆØ reso perfetto il sacrificio spirituale dei fedeli? Si chiede, inoltre, se ĆØ ancora valido l’insegnamento della lettera apostolica di san Giovanni Paolo II Ordinatio Sacerdotalis, che insegna come veritĆ da tenere in modo definitivo l’impossibilitĆ di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, per cui questo insegnamento non ĆØ piĆ¹ soggetto a cambiamento nĆ© alla libera discussione dei pastori o dei teologi.
Risposta di Papa Francesco alla quarta domanda
a) “Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono essenzialmente” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 10). Non ĆØ opportuno sostenere una differenza di grado che implichi considerare il sacerdozio comune dei fedeli come qualcosa di “seconda categoria” o di minor valore (“un grado piĆ¹ basso”). Entrambe le forme di sacerdozio si illuminano e si sostengono reciprocamente.
b) Quando san Giovanni Paolo II insegnĆ² che bisogna affermare “in modo definitivo” l’impossibilitĆ di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, in nessun modo stava denigrando le donne e conferendo un potere supremo agli uomini. San Giovanni Paolo II affermĆ² anche altre cose. Ad esempio, che quando parliamo della potestĆ sacerdotale āsiamo nell’ambito della funzione, non della dignitĆ e della santitĆ ā. (san Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 51). Sono parole che non abbiamo accolto a sufficienza. AffermĆ² anche chiaramente che sebbene solo il sacerdote presieda l’Eucaristia, i compiti “non danno luogo alla superioritĆ di alcuni sugli altri” (san Giovanni Paolo II, Christifideles laici, nota 190; Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI). AffermĆ² anche che se la funzione sacerdotale ĆØ “gerarchica”, non deve essere intesa come una forma di dominio, ma āĆØ totalmente ordinata alla santitĆ delle membra di Cristoā (san Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 27). Se questo non viene compreso e non si traggono le conseguenze pratiche di queste distinzioni, sarĆ difficile accettare che il sacerdozio sia riservato solo agli uomini e non potremo riconoscere i diritti delle donne o la necessitĆ che esse partecipino, in vari modi, alla guida della Chiesa.
c) D’altra parte, per essere rigorosi, riconosciamo che non ĆØ stata ancora sviluppata esaustivamente una dottrina chiara e autorevole sulla natura esatta di una “dichiarazione definitiva”. Non ĆØ una definizione dogmatica, eppure deve essere accettata da tutti. Nessuno puĆ² contraddirla pubblicamente e tuttavia puĆ² essere oggetto di studio, come nel caso della validitĆ delle ordinazioni nella Comunione anglicana.
5) Dubium circa l’affermazione “il perdono ĆØ un diritto umano” e l’insistere del Santo Padre sul dovere di assolvere tutti e sempre, per cui il pentimento non sarebbe condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale.
Si chiede se sia ancora vigente l’insegnamento del Concilio di Trento, secondo cui, per la validitĆ della confessione sacramentale ĆØ necessaria la contrizione del penitente, che consiste nel detestare il peccato commesso con il proposito di non peccare piĆ¹ (Sessione XIV, Capitolo IV: DH 1676), cosicchĆ© il sacerdote deve rimandare lāassoluzione quando sia chiaro che questa condizione non ĆØ adempiuta.
Risposta di Papa Francesco alla quinta domanda
a) Il pentimento ĆØ necessario per la validitĆ dell’assoluzione sacramentale e implica l’intenzione di non peccare. Ma qui non cāĆØ matematica e devo ricordare ancora una volta che il confessionale non ĆØ una dogana. Non siamo padroni, ma umili amministratori dei Sacramenti che nutrono i fedeli, perchĆ© questi doni del Signore, piĆ¹ che reliquie da custodire, sono aiuti dello Spirito Santo per la vita delle persone.
b) Ci sono molti modi di esprimere il pentimento. Spesso, nelle persone che hanno l’autostima molto ferita, dichiararsi colpevoli ĆØ una tortura crudele, ma il solo atto di avvicinarsi alla confessione ĆØ un’espressione simbolica di pentimento e di ricerca dell’aiuto divino.
c) Voglio anche ricordare che “a volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio” (Amoris laetitia 311), ma si deve imparare. Seguendo san Giovanni Paolo II, sostengo che non dobbiamo richiedere ai fedeli propositi di correzione troppo precisi e sicuri, che alla fine finiscono per essere astratti o addirittura narcisisti, ma anche la prevedibilitĆ di una nuova caduta “non pregiudica l’autenticitĆ del proposito” (san Giovanni Paolo II, Lettera al Card. William W. Baum e ai partecipanti al corso annuale della Penitenzieria Apostolica, 22 marzo 1996, 5).
d) Infine, deve essere chiaro che tutte le condizioni che di solito si pongono nella confessione generalmente non sono applicabili quando la persona si trova in una situazione di agonia o con le sue capacitĆ mentali e psichiche molto limitate.
Articolo pubblicato su Vatican News