“Vi racconto Teheran, città che sogna e protesta”

Non è trascorso molto tempo dall'uccisione di Qasem Soleimani, né dalle proteste di piazza che hanno infiammato i giorni di Teheran a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno. Giorni di fuoco, accesi dal raid americano che aveva eliminato il vertice delle potenti milizie al-Quds, nonché uno degli uomini più popolari in Iran. Ma anche dal disastro del Boeing 752 dell’Ukraine International Airlines, abbattuto da un missile Pasdaran e genesi di una nuova escandescenza di piazza, con gli slogan “morte all'America” momentaneamente messi da parte per chiedere chiarezza a un governo apparentemente passato dall'acclamazione alla contestazione nel volgere di qualche giorno. Ma Teheran non si costituisce di un tessuto sociale che traduce le proprie istanze in una mera spinta umorale, come una qualsiasi piazza turbolenta. Il sentimento del popolo iraniano, come quello di ogni altro Paese, viaggia attraverso ideali, aspirazioni, sogni e speranze, delle quali forse ci si dimentica nel momento in cui i riflettori mediatici si accendono su fenomeni di grande rilevanza. Andrea Haidar, giornalista e laureando magistrale in Studi politici presso l'Università degli Studi di Milano, Teheran l'ha vissuta, lavorando presso l'ambasciata italiana e osservando, per settimane, lo scorrere della vita di ogni giorno in una città mediaticamente vicina quanto lontana nei suoi contenuti più profondi. Da conoscere, almeno in parte, per declinare in modo sensato gli eventi delle prime settimane dell'anno.

Sentimenti diversi

“Io sono rientrato in Italia il 6 dicembre scorso – ha raccontato -, qualche settimana prima che gli eventi portassero nuovamente Teheran alla ribalta delle cronache. E delle ultime proteste ho avuto notizia dai miei amici rimasti lì. Nei giorni successivi alla morte di Soleimani, è esplosa l'enorme insoddisfazione della popolazione per le dichiarazioni del governo che sosteneva di non c'entrare nulla con l'abbattimento dell'aereo, per poi cambiare la loro versione innescando le proteste viste in tv”. Rivelazioni, quelle sulla sorte del Boeing ucraino, che stando a quanto rivelato dal New York Times sarebbero arrivate nel momento in cui il leader del governo, Hassan Rouhani, è venuto a conoscenza di quanto accaduto, minacciando le proprie dimissioni qualora la verità non fosse stata diffusa. Va da sé che tali movimenti di piazza abbiano assunto connotati ben diversi rispetto a quanto accaduto all'indomani del sollevamento della popolazione contro gli Stati Uniti per l'uccisione del leader di al-Quds: “Ovviamente la tendenza, quando si descrive un fenomeno, è quella di ridurlo. Al di là delle proteste che ci sono state, molto spesso la popolazione iraniana viene inquadrata solo nel momento in cui canta 'morte all'America'. In realtà non è così: c'è sì una parte che non si riconosce negli ideali e nei valori del governo americano e che scende in piazza per portestare contro Trump o contro Israele. C'è però una larga fetta di iraniani che non vede l'ora di scappare dal Paese, e che vede la cultura americana come un sogno o come un obiettivo da raggiungere”. Sfumature che forniscono, inevitabilmente, nuove chiavi di lettura: “Gli studenti che sono scesi in piazza a manifestare, così come successo altre volte nella storia dell'Iran – basti ricordare ciò che accadde nel '79 con la presa dell'ambasciata americana di Teheran – hanno protestato contro il governo e una sua determinata azione, ovvero l'aver nascosto per sei giorni il coinvolgimento dell'Iran. Ma da lì a dire che tutta la popolazione iraniana è contraria il governo ce ne passa”.

Teocrazia bicefala

Un contesto complesso quello iraniano, nel quale è difficile discernere un sentimento realmente comune, o comunque non mediaticamente sovraesposto. Più interessante osservare dal di dentro, cercando di conoscere e di comprendere in modo quanto più esauriente possibile il popolo dell'Iran, la sua quotidianità, il suo senso di cittadinanza: “Non dimentichiamoci che l'Iran, nonostante abbia degli elementi democratici – come la riunione del Parlamento o l'elezione del presidente – rimane sempre nelle mani dell'ayatollah Khamenei. E' comunque una teocrazia bicefala, nel senso che ci sono elementi democratici e teocratici. Di conseguenza, è difficile fare un'analisi dicotomica contro e a favore, ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione. Se si vuole ridurre basta semplicemente guardare i fenomeni singoli e analizzare quanto successo: in questo caso, gli studenti sono scesi in piazza per dire che sono contro l'azione del governo secondo cui questo episodio dell'aereo non era avvenuto”. Anche se, in queste occasioni, emergono “sempre degli elementi che sono contrari al regime, inteso come la figura dell'ayatollah Khamenei, che colgono il momento per gridare il loro dissenso contro la Guida suprema”.

Due città

Non va dimenticato che, prima ancora che un'entità astratta per indicare il governo in carica e le sue azioni di politica interna ed estera, Teheran è innanzitutto una città, una capitale, con una vita che scorre e tradizioni secolari da rispettare. E cittadini che ne costruiscono ogni giorno l'impalcatura sociale: “La prima cosa che posso dire riguardo gli iraniani – racconta ancora Andrea Haidar -, di qualsiasi classe sociale, è la loro ospitalità. Se mai ti capitasse andare in Iran, la prima cosa di cui ti accorgeresti è proprio la sua gente, molto ospitale, molto curiosa nei confronti degli stranieri e desiderosa di conoscere più informazioni possibile. Poi è da considerare che Teheran è una città divisa in due: la parte meridionale e centro-meridionale, è abitata in prevalenza dalla parte più povera della popolazione, mentre quella settentrionale dalla fascia più ricca”. Una città alta e una città bassa, tanto per tracciarne un profilo comune ad altri importanti contesti urbani, dalle differenze sostanziali: “Per quanto ho avuto modo di vedere, è la parte nord che si riconosce di più nei valori statunitensi e, per quanto possa detestare gli Usa come Paese, è dedita al consumismo, vede l'apparenza estetica come la meta suprema da raggiungere. Il 60% delle donne di Teheran nord, ad esempio, si è rifatta il naso”. Più difficile capire quanto, davvero, il desiderio di cambiamento sia radicato e di rilevanza comune. Un po' perché “non ci sono sondaggi, quantomeno non affidabili“, e anche perché, a ben vedere, “questo dipende da persona a persona… A novembre, ad esempio, hanno triplicato il prezzo della benzina da un giorno all'altro, senza passare dal voto del Parlamento, e questo ha compattato una buona fetta della popolazione contro il governo. Quello che è successo dopo l'uccisione di Soleimani l'ha compattata invece a favore, per poi vacillare nuovamente in seguito all'abbattimento dell'aereo”.

Istanza comune

L'uccisione di Soleimani ha costituito un capitolo a parte. La morte dell'uomo chiave delle strategie militari iraniane, una figura che buona parte della popolazione vedeva come possibile futuro riferimento politico, ha creato, stavolta sì, un comune sentimento anti-americano: “Soleimani era visto dagli Usa come il principale sponsor del terrorismo, mentre in Iran era visto come un eroe. Ci si dimentica molto spesso che l'Isis è stato sconfitto grazie al contributo dell'Iran, non tanto degli Stati Uniti. La nostra cronaca ci ha sempre parlato dei curdi ma poco degli iraniani: le forze Quds, delle quali Soleimani era a capo, sono state fra le principali protagoniste della guerra contro daesh”.