Turchia: il presidente di Amnesty, Taner Kilic, resta in carcere

E’ stato confermato, dal Tribunale di Smirne, l’arresto di Taner Kilic, presidente di Amnesty International, fermato il 6 giugno scorso assieme ad altre 22 persone in quanto sospettato di intrattenere legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Il blitz di quattro giorni fa (Kilic è stato prelevato nella sua abitazione) aveva portato il governo della Turchia ad arrestare in tutto 23 avvocati, per sospetti legami con il tentato golpe di un anno fa. Tra questi, lo stesso Kilic, fondatore dell’organizzazione non governativa impegnata nella tutela dei diritti umani. L’accusa nei suoi confronti è di “appartenenza ad associazione terroristica”.

Amnesty: “Parodia della giustizia”

Una decisione, questa, che ha incontrato il forte disappunto della stessa Amnesty che, già nelle ore immediatamente successive all’arresto, aveva invocato il rilascio di Kilic, descritto come un uomo “che ha sempre difeso quelle libertà che le autorità di Ankara stanno cercando di annullare”. Dopo la notizia della convalida del fermo, l’ong ha espresso la sua condanna definendo “la decisione di accusarlo di ‘associazione terroristica’ una parodia della giustizia che sottolinea il devastante impatto del giro di vite delle autorità turche dopo il fallito colpo di stato”. Amnesty continua a spingere per “l’immediato e incondizionato rilascio” del presidente, mentre il Segretario generale di Amnesty International, Salil Shetty, ha affermato che le accuse contro Kilic “mostrano quanto sia arbitraria la ricerca frenetica del nemico e di coloro riconosciuti come critici dal governo turco. L’arresto di Taner mette in evidenza non solo un disprezzo per i diritti umani, ma anche un desiderio di mettere a punto coloro che li difendono”. La condanna nei confronti dell’arresto di Kilic è arrivata da diverse organizzazioni ed enti internazionali.

La repressione

A seguito del fallito golpe del 15 luglio 2016, sono state finora più di 50 mila le persone arrestate, fra le quali militari, funzionari pubblici e accademici messi in relazione con il tentativo di rovesciamento del governo Erdogan. Ma i numeri sono ancora più alti fra coloro dismessi o rimossi dai rispettivi incarichi: oltre 100 mila persone, anch’esse coinvolte nella massiccia operazione di repressione.