L'Independence Day secondo Trump

Nonostante il tempo incerto, ai piedi del Memorial Lincoln dà il meglio di sé Donald Trump, felice di celebrare l'Independence Day più sfarzoso mai organizzato sotto la sua presidenza. E il paradosso è che, per quanto sia stato mirato a esaltare la potenza degli Stati Uniti, la sfilata (ostacolata dalla pioggia) di carri armati e altri richiami a ciò che è bellico, non è che abbia fatto poi molta presa fra gli americani. Prova ne sia che, in un clima tutt'altro che da 4 luglio, davanti alla Casa Bianca siano stati registrati momenti di fortissima tensione fra trumpiani e oppositori, venuti a contatto in modo violento. In particolare, i sostenitori del presidente sono stati osteggiati da alcuni militanti dell'estrema destra, arrivati addirittura a dar fuoco a una bandiera degli Stati Uniti d'America durante la giornata che celebra l'indipendenza, la più importante per il Paese. Scene che, certamente, si discostano in modo sostanziale dalle parole redatte dai padri fondatori nel documento che di quelle colonie britanniche decretò l'autonomia assoluta, uno dei più emblematici fra quelli stilati per decretare la legittima libertà degli uomini.

Il discorso

Ma, pur in un tangibile sentimento di intolleranza, il Tycoon non ha desistito e ha iniziato il suo discorso ai piedi della statua di Abraham Lincoln, mentre gli agenti del Secret Service intervenivano per sedare gli scontri e procedere con gli arresti, mentre alcuni feriti (fortunatamente lievi) venivano trasportati in ospedale, alcuni dei quali vittime di accoltellamento. “La nostra nazione è più forte oggi di quanto non sia mai stata prima”, anzi, “adesso è la più forte”, ha dichiarato il presidente, nominando poi uno a uno praticamente ogni ramo dell'US Army, “l'esercito, la marina, l'aviazione, la guardia costiera, i marines e, molto presto, la Space Force”. A proposito di quest'ultimo, forse in uno slancio fantascientifico ispirato dall'omonimo Independence Day di Roland Emmerich, Trump lancia addirittura la sfida marziana, promettendo che presto gli Stati Uniti saranno in grado di “piantare la loro bandiera su Marte”. Una promessa azzardata ma che forse coglie nel segno, anche pensando al prossimo 21 luglio, quando saranno cinquant'anni esatti dalla discesa del primo essere umano sul suolo lunare.

Identità

Ma non c'è solo il futuro nel lungo e accorato discorso del presidente: cita grandi presidenti del passato (da George Washington a Thomas Jefferson, fino ad arrivare allo stesso Lincoln), affiancando i loro nomi a illustri rappresentanti della scienza e della cultura americana, come Thomas Edison, i fratelli Wright, Clara Barton e addirittura Alexander Bell, scozzese di nascita. Un modo per ribadire la grandezza degli Stati Uniti ma anche le loro radici: “Non dimenticheremo mai che siamo americani e il futuro ci appartiene. Il futuro appartiene ai coraggiosi, ai forti, agli orgogliosi e ai liberi. Siamo un popolo che insegue un sogno e un destino magnifico”. Così dice Trump, mentre la banda militare attacca con Proud to Be an American di Lee Greenwood. Un richiamo all'unità, all'identità culturale e a quella vocazione libertaria che, in questo stesso giorno del 1776, nell'Independence Hall di Filadelfia, vergò su una pergamena intestata con la dicitura “In Congress” gli ideali fondanti della federazione nella Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America. Poi volano gli aerei e partono i fuochi: un momento di distensione, prima che torni la realtà con tutti i suoi carichi d'incertezza. Come a dire che i valori che fondarono la nazione vanno non solo incarnati ma anche protetti ogni giorno.