La storia di Matteo Violani, da “angelo del fango” ad Alfiere della Repubblica

Durante l'alluvione in Emilia Romagna dello scorso anno, Matteo si è subito reso disponibile a spalare fango per aiutare gli altri. Mentre era operativo contrae un batterio che quasi lo uccide. L'intervista a Interris.it

Matteo ha appena compiuto 18 anni. Il giorno del compleanno, tra i doni, riceve un telegramma con un insolito mittente: il Quirinale. “Il Presidente della Repubblica – si legge – ha nominato Matteo Violani ‘Alfiere della Repubblica‘ per il servizio di volontariato prestato in occasione dell’alluvione che ha colpito la sua città, Faenza. Il suo impegno costituisce un esempio di cittadinanza attiva e simboleggia la resilienza di una intera comunità”.

La premiazione al Quirinale

Lunedì 13 maggio al Quirinale si è tenuta la cerimonia di consegna degli Attestati d’onore. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, li ha consegnati a 29 giovani che si sono distinti per l’altruismo, la generosità e il senso di comunità. “È, per me, un vero piacere accogliervi qui perché, siete testimoni di impegni positivi, di solidarietà – ha detto il Presidente ai ragazzi tra i 10 e i 18 anni –. La solidarietà è un presupposto indispensabile del benessere di una comunità. Per vivere davvero bene insieme […] è necessario che via sia, oltre alla consapevolezza dei propri diritti, quella delle proprie responsabilità nei confronti degli altri. È l’esercizio di questa responsabilità che fa sentire realizzati, che rende sereni e, ancor di più, – vorrei dire – rende anche felici”.

Matteo vive a Faenza con la sua famiglia – i genitori sono impegnati nella Comunità di don Benzi, frequenta un istituto tecnico per diventare grafico e partecipa agli scout. Lo abbiamo intervistato per Interris.

Matteo, com’è stato incontrare il Presidente Mattarella?

“Un grande onore, una grande emozione. Lui mi è parso come il nonno di tutti. Mi è piaciuto il suo discorso perché ha parlato del senso di fraternità. Poi, finita la cerimonia, non è andato via ma si è fermato in mezzo a noi a parlare in semplicità”.

Cosa gli hai detto?

Ho mantenuto la promessa fatta ai miei nonni che lo avrei salutato da parte loro che lo stimano molto. E lui ha ricambiato”.

Parliamo dell’alluvione. Cosa hai provato quando hai visto il disastro?

 Senso di impotenza. Durante quella notte noi eravamo sempre in contatto con mia nonna, parenti e amici che erano intrappolati nelle case con l’acqua che saliva ma noi non potevamo fare nulla perché tutte le strade erano bloccate”.

Che cosa hai fatto?

Noi abitiamo in collina e, seppur nel disagio, non abbiamo avuto problemi. I miei nonni invece hanno avuto l’acqua in casa per cui nei primi giorni spalavamo il fango da loro. Poi ci siamo messi a dare una mano agli altri tramite la Caritas locale, gli scout e la Papa Giovanni XXIII. Non ci abbiamo pensato. E’ stato un impulso naturale”.

Come lavoravate?

Quando è arrivata la Caritas Ambrosiana abbiamo seguito la loro organizzazione molto efficiente: avevano tutte le attrezzature necessarie per quel tipo di emergenza e sapevano come muoversi. Grazie a loro siamo riusciti ad organizzarci in fretta. Guardavamo le priorità da gestire e c’era un lavoro di back office per mandare i gruppi in giro. Ogni week-end avevamo oltre 100 volontari da gestire sia per spalare fango sia per la distribuzione di kit e alimenti”.

Qual era la cosa più urgente?

“Parlare con le persone. Abbiamo fatto un gran lavoro per stare vicino alle persone, interagire con loro, ascoltarle in mezzo alla tragedia”.

Mentre spalavi il fango hai preso un batterio che ti ha quasi ucciso.

“Verso metà luglio, mentre ero al centro operativo, mi sono sentito la febbre, tremavo, poi ho avuto un tale male alla gola che non riuscivo più a deglutire né a bere. Al pronto soccorso non hanno capito subito cosa fosse. Solo dopo 4-5 giorni hanno diagnosticato che avevo la Sindrome di Lemierre una rara patologia ad alta mortalità se non trattata in tempi brevissimi. L’avevo presa tramite un batterio, probabilmente mentre spalavo. Sono rimasto 15 giorni in ospedale e se avessero ritardato ancora di qualche giorno, adesso non sarei qui a parlarne”.

A chi dedichi questo premio?

A tutti i ragazzi che come me hanno lavorato. Non me lo sento mio, io mi sento solo come un rappresentante”.

Queste catastrofi provocano dei traumi nelle persone. Hai ancora paura quando piove?

No. So che contro la natura si può fare poco, ma sono tranquillo perché adesso saprei come agire. Sarei pronto a rifarlo. Soprattutto ho imparato che qualsiasi difficoltà si può affrontare, se si sta insieme”.