Medie imprese: quelle del Sud corrono più veloci

Il dottor Gaetano Fausto Esposito del Centro Studi Tagliacarne commenta ad Interris.it il rapporto “I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei ‘capitali’ strategici”

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A destra il dottor Gaetano Fausto Esposito

L’ultimo rapporto “I fattori di competitività delle medie imprese del Mezzogiorno: il ruolo dei ‘capitali’ strategici” realizzato dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere, dimostra che le medie imprese del Mezzogiorno, trainano lo sviluppo in termini di fatturato, di esportazione, di investimenti in innovazione e di crescita delle prospettive occupazionali. Queste imprese smentiscono la stereotipata immagine dell’Italia del Sud sempre indietro, al punto che si intravedono futuri scenari di crescita.

L’intervista

Interris.it ne ha parlato con il direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, il dottor Gaetano Fausto Esposito che ha seguito da vicino lo studio riportato sul rapporto.

Direttore, come spiega questo processo?

“Sicuramente è una svolta importante e sono oramai lontani i tempi in cui le imprese del Sud Italia chiedevano il finanziamento per gli impianti e i capannoni. Queste imprese infatti, oggi puntano sui capitali immateriali, ovvero la crescita della capacità del capitale umano e delle conoscenze, mentre gli investimenti fisici e quelli finanziari, pur rimanendo fondamentali, vengono messi al secondo posto”.

Come è iniziata questa ripresa?

Vorrei chiarire subito che al Sud il numero di medie imprese molto performanti è ancora particolarmente ridotto. In Italia abbiamo poco meno di 3700 imprese, di cui solo 361 operano nel Meridione e in genere si tratta di aziende di seconda o di terza generazione. Sono imprese che per affermarsi sul mercato hanno puntato su prodotti ad alto valore aggiunto e questo sviluppo è avvenuto quando i proprietari hanno compreso che occorreva innovare non solo i processi e i prodotti, ma anche le modalità di gestione, fattore che al Sud, anche per aspetti di ordine culturale, è sempre stato particolarmente deficitario”.

Questa velocità può sostenere lo sviluppo del Sud e recuperare il ritardo accumulato con il resto del Paese?

“C’è una questione di massa e di capacità di traino. Quasi nel 90% dei casi, le medie imprese sono molto ben inserite nei circuiti di fornitura, anche a livello internazionale. Sicuramente possono rappresentare un esempio e un enzima utile per la crescita, ma sarebbe velleitario pensare che possano spingere da sole i processi di sviluppo di un’area dove ci sono ancora forti diseconomie. Certo, se aumentassero in modo consistente, potrebbero svolgere un maggiore ruolo di spinta, ma fino ad oggi non mi sembra che nel dibattito di policy si sia posto con decisione il tema di interventi rivolti alle imprese di questa dimensione”.

Che ruolo ha l’investimento nel digitale e nel green?

“Fondamentale, ma per renderlo tale serve un maggiore capitale umano. A tal proposito sappiamo che c’è un forte gap di professionalità che già sta agendo come fattore limitativo e questo è dovuto anche al fatto che al Sud c’è una minore qualità dell’istruzione professionalizzante. Per questo motivo ci aspettiamo molto dai processi di riforma del sistema di formazione professionale e anche dall’avvio definitivo delle ITS Academy (Istituti Tecnologici Superiori)”.

Sei imprese su dieci investiranno nel digitale e nel green. Perché le altre non lo faranno?

“Per quanto riguarda il green, il 38% delle medie imprese dichiara che il principale ostacolo riguarda l’esistenza di barriere di ordine culturale, a cui si accoda un fattore economico. Nel caso invece del digitale, il 53% dice che la motivazione va ricercata nelle risorse economiche, mentre le barriere di ordine culturale sono al secondo posto. Occorre però evidenziare che almeno un quarto delle imprese ritiene che a frenare gli investimenti nel green e nel digitale siano anche le barriere di ordine burocratico”.

Come si prospetta il 2024?

“Come un anno complicato e di crescita molto moderata, in quanto abbiamo un settore industriale che sta risentendo di una congiuntura internazionale non molto tonica. Pensiamo comunque ci possa essere un cauto ottimismo, condizionato dall’effettivo avvio di importanti azioni connesse sia al PNRR, sia alla manovra sui fondi strutturali. Ci sono poi condizioni favorevoli allo sviluppo di un processo di investimento, anche di natura pubblica, l’inflazione si sta riducendo e con essa anche il costo del denaro”.