Epatite E nel sud del Ciad, l’allarme di Msf: “Oltre 60 casi a settimana”

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Aumenta considerevolmente, in Ciad, il rischio epidemia dopo il riscontro del primo caso di epatite E, avvenuto ormai 5 mesi fa da parte degli operatori sanitari di Medici senza frontiere. Nel tempo intercorso dalla prima identificazione del virus a oggi, infatti, sarebbero stati addirittura 885 i casi trattati dai medici volontari nella regione del Salamat, nell’area sud-orientale del grande Paese dell’Africa centrale. A riportarlo è un comunicato della stessa organizzazione, nel quale viene specificato come l’aumento della casistica si accresca di oltre 60 nuovi pazienti a settimana, vittime di insufficienza epatica acuta. L’appello di Msf riguarda non solo tutte le associazioni umanitarie operanti nel Paese, ma anche il governo locale e la Comunità internazionale, perché vengano attivate al più presto le indispensabili misure d’emergenza per contenere il propagarsi della malattia.

Potabilizzazione delle acque

Fra le cause maggiori che potrebbero favorire la diffusione dell’epatite, c’è senz’altro la scarsa possibilità di accesso a fonti d’acqua pulita: a questo proposito, l’attivazione delle forze governative è più che mai necessaria, poiché la depurazione della falde acquifere potrebbe porre un consistente freno alle vie di contagio: “Come organizzazione medica – ha spiegato tramite il sito ufficiale Rolland Kaya, capo missione in Ciad -, in genere non è compito di Msf intervenire su larga scala in attività di potabilizzazione dell’acqua, ma in mancanza di alternative per contenere il diffondersi del virus, siamo obbligati a colmare questo vuoto. Ancora una volta, invitiamo il Ministro della Sanità del Ciad a dichiarare che l’attuale intensificarsi dei casi di epatite E è un’epidemia, in modo da consentire l’avvio di una risposta adeguata”.

L’epidemia di Am Timan

Particolarmente grave è la situazione ad Am Timan, piccola cittadina dell’area meridionale del Paese: secondo quanto riportato, sarebbero attualmente oltre 600 gli operatori sanitari al lavoro in questo angolo del Ciad, intenti a identificare eventuali nuovi casi (ed eventualmente a prestare le necessarie cure) nonché ad agire sul miglioramento delle riserve d’acqua, in particolare con la disinfestazione delle cisterne di distribuzione e con la clorinizzazione delle torri idriche: “Servono più attori – ha specificato Kaya – per mettere in campo azioni di prevenzione, tra cui attività di igiene e potabilizzazione dell’acqua, specialmente ora che stiamo vedendo un numero sempre maggiore di casi nella regione del Salamat, e non più soltanto nella città di Am Timan”. A tutto questo, ovviamente, si affianca la consueta attività di assistenza sanitaria svolta negli avamposti sanitari messi in piedi sul posto.

Foto: Msf