L’associazione di Suor Edoarda che sfida la Camorra (VIDEO)

Il racconto di Suor Edoarda dell’associazione “Il Giardino dai Mille Colori” nei rioni di Scampia per sconfiggere la camorra

L’impegno costante dell’associazione “Il Giardino dai Mille Colori” contro la Camorra che a Scampia cerca e trova manovalanza giovane tra quei tanti ragazzi in difficoltà. Un’abnegazione che parte dal lontano 1989 quando tre suore della Provvidenza arrivano in questa zona dell’Italia martoriata dalla violenza mafiosa. Una di loro, Suor Edoarda, racconta a Interris.it l’aiuto alle famiglie, le difficolta quotidiane, le speranze di un futuro con più cultura e meno criminalità. La sua associazione ogni giorno apre le porte ai più piccoli attraverso l’asilo nido, il dopo scuola, la cura del nucleo familiare, l’educazione all’altro e al bello.

Il vostro progetto si rivolge agli ‘ultimi degli ultimi’, come scrivete sul vostro sito internet. Chi sono?
“Sono i bambini, i minori, gli adolescenti ma anche le loro famiglie che abitano i rioni di Scampia. Ci occupiamo anche di fornire il nostro sostegno ai bambini e alle famiglie Rom, i quali vivono in un campo adiacente al nostro centro”.

Da quanto tempo la sua associazione è sul territorio di Scampia?
“Come suore della Provvidenza siamo su questo territorio dal 1989. Sono 31 anni. L’associazione si è costituita nel 2000. Ma le nostre attività non sono cambiate, abbiamo solamente deciso di costituirci associazione per allargare il nostro sguardo”.

In che condizioni sono i giovani che sostenete?
“Nel quartiere all’inizio c’erano molte più problematiche inerenti alle condizioni delle abitazioni, alla situazione della disoccupazione e alla presenza pervasiva della Camorra. Al comincio del nuovo millennio lo strapotere mafioso è cresciuto fino a sfociare in due faide, quelle tra il 2000 e il 2010. A questi eventi è seguito un intervento massiccio delle forze dell’ordine che sono state in grado di ristabilire un minimo di equilibrio che è coinciso con un momento di tranquillità. Una semi normalità che ha visto diminuire sensibilmente anche l’operosità delle piazze di spaccio fino a quel momento davvero movimentate. In questo quadro, il problema principale è sempre stato il lavoro, o meglio la sua assenza. Perciò, in molti sono finiti nelle grinfie della mala vita. Chi perché ha deciso di lavorare per loro coscientemente e chi invece è costretto dal bisogno di sostenere la propria famiglia. Di fronte a questa situazione di grave difficoltà in molti cedono a tal tipo di collaborazione anche se non lo vorrebbero”.

La camorra è ancora così presente a Scampia?
“Per un periodo avevamo creduto stesse pian piano arretrando. Ma ora, la verità è che sta riemergendo con prepotenza perché ci sono troppi problemi e ci rendiamo conto che lo spaccio, prima di tutto, sta aumentando”.

Come reagiscono i ragazzi al vostro sostegno e alle vostre attività?
“I ragazzi vivono in una condizione molto difficile ma che per loro rappresenta la normalità. Questo è il grande problema: il fatto che all’interno di una famiglia numerosa, in molti si trovano in carcere e questo porta il nucleo familiare a coalizzarsi. I ragazzi non vivono tutto ciò come un problema ma come quotidianità: il papà in carcere e la mamma agli arresti domiciliari per loro è cosa di tutti i giorni. Appunto la normalità. Ma si vede immediatamente la loro profonda sofferenza. La si legge nei loro gesti, nei loro comportamenti, nelle loro relazioni, negli atteggiamenti dei genitori con cui facciamo fatica a creare dei rapporti costruttivi. Se il bambino non si rende conto di dove sono i membri della propria famiglia, l’adulto ne è conscio e quindi tenta di non creare relazione. C’è un vulnus sostanzialmente educativo che riguarda in particolar modo la crescita di questi ragazzi. Poche sono le famiglie che si rendono disponibili a collaborare per un futuro diverso dei ragazzi. Più che povertà economica, c’è molta povertà educativa. Quando i genitori devono pensare come fare a cercare un lavoro per sfamare la famiglia, il pensiero educativo è debole perché prevale il bisogno primario di mantenersi. Quindi è complicato arrivare a pensare alla crescita giusta per i propri figli. Loro portano i bambini da noi per farli stare sereni ma poi finisce lì. Da parte nostra c’è grande desiderio di collaborare con la famiglia. Ma spesso questi nuclei si sentono impotenti anche dinnanzi agli stessi comportamenti dei figli: sovente aggressivi se non addirittura violenti. Perciò ricade su di noi il peso educativo dei bambini che devono uscire fuori da situazioni di questo tipo”.

La scuola pubblica è frequentata?
“Nell’ultimo periodo siamo stati costretti a chiudere e loro sono stati a casa. Ma i ragazzi non hanno nemmeno osservato le norme del lockdown: sono scesi tranquillamente nei cortili. I genitori non sono riusciti a tenerli chiusi nelle abitazioni. È praticamente impossibile tenere i bambini di questo quartiere chiusi in casa. Noi lo vediamo quando vengono nel nostro centro. L’unico sfogo che accettano è lo spazio esterno, il campetto. Neppur nel nostro grande spazio interno voglio assolutamente rimanere. Quindi, da parte nostra, c’è grande comprensione per le famiglie”.

Con il coronavirus è cambiata la vostra attività?
“Da quando è stato decretato ed imposto il lockdown, noi non abbiamo mai smesso di darci da fare. Abbiamo cominciato a fare una raccolta fondi. Ci siamo costituiti in una rete di associazioni per cercare di aiutare le famiglie. Ogni settimana abbiamo distribuito pacchi contenenti derrate alimentari anche per le famiglie Rom: volevamo impedire che uscissero per chiedere l’elemosina rischiando di aumentare il rischio di un contagio del virus. In questi due mesi e mezzo abbiamo dato alimenti a più di due mila persone. Abbiamo comprato gli alimenti grazie alle donazioni. Adesso continuiamo ad aiutare le famiglie italiane che sono quelle che sono più in difficoltà. Prepariamo per loro aiuti alimentari”.

Di quali strumenti si dovrebbe dotare lo Stato per essere più vicino a questa popolazione?
“Bisogna aiutare le famiglie in stato di bisogno. Il reddito di cittadinanza non basta. Bisogna dare lavoro per rendere queste famiglie dignitose. Ho aiutato molte persone durante il periodo del reddito minimo di inserimento. Ma qua il lavoro è claudicante. E si rischia che le persone in difficoltà conducano un lavoro illegale per poter sopravvivere”.