Iosa: “Inclusione, un dovere etico che diventa pedagogico”

L’aumento degli studenti con disabilità nelle scuole e la carenza di insegnanti specializzati nel sostegno spinge a immaginare nuove soluzioni. Un gruppo di esperti propone la cattedra inclusiva

Foto di Mojca-Peter da Pixabay

“Inclusione è garantire a tutti di poter stare nella comunità ognuno col proprio passo”, dice a Interris.it Raffaele Iosa, già maestro, dirigente scolastico e componente dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap, di cui è stato anche coordinatore nazionale del Comitato tecnico. Nell’ultimo mezzo secolo l’inclusione scolastica ha compiuto molti passi in avanti, uno su tutti l’abolizione delle classi differenziali nel 1977, accogliendo e rendendo possibile l’integrazione sui banchi di scuola tra alunni con disabilità e con condizioni di disagio socio-economico alle spalle e il resto dei loro coetanei. Quasi cinquant’anni dopo, il passo incontra nuovi ostacoli: la carenza di insegnanti specializzati nel sostegno, quei docenti assegnati alle classi dove sono presenti alunni o studenti con disabilità per rispondere alle maggiori necessità educative, col frequente ricorso – in un caso su tre – a professori di materie curriculari che non hanno una formazione specifica per il sostegno e quasi regolarmente si avvicendano, causando il fenomeno della cosiddetta discontinuità didattica. Come soluzione, un gruppo di esperti, tra cui Iosa, ha redatto una proposta di legge che propone di introdurre la “cattedra inclusiva”, cioè di estendere a tutti gli insegnanti della scuola italiana l’incarico polivalente – parte delle ore impiegate nelle materie disciplinari e parte nelle attività di sostegno.

Foto di Alexandra_Koch da Pixabay

I numeri

Gli alunni e gli studenti con disabilità che si sono seduti sui banchi nell’anno scolastico 2022/2023 sono stati quasi 338mila, secondo l’ultimo report dell’Istat, quasi 21mila (+7%) in più rispetto a quello precedente, il 39% dei quali vive in una condizione di pluridisabilità. Il 4,1% della popolazione scolastica, secondo il Ministero dell’istruzione e del merito. La più frequente è la disabilità intellettiva, nel 37% dei casi, che alle superiori cresce fino al 48%, e quasi un quinto è interessato da i disturbi dell’apprendimento e quelli dell’attenzione. Poco meno di un terzo (28%) degli alunni e degli studenti presenta difficoltà nello spostarsi all’interno dell’edificio scolastico, nel comunicare, nel mangiare o nell’andare in bagno. Tra questi c’è chi non è in grado di svolgere nessuna di queste attività da solo.

Il sostegno

Il numero di ore di sostegno è maggiore nelle scuole del Mezzogiorno, in media tre ore in più rispetto al Nord Italia. Da un punto di vista numerico, il rapporto insegnanti di sostegno-alunni con disabilità, pari a 1,6, è migliore di quanto previsto dalla normativa nazionale (2), dato che l’organico conta ne circa 228mila (+10%), tra i quasi 218mila nella scuola statale e circa i 10mila in quella non statale. Ma un terzo, seppure in calo dal 37% al 30% negli ultimi quattro anni, cioè 67mila, è stato selezionato tra i docenti curriculari, quindi non ha una formazione specifica per il sostegno, per sopperire alla carenza degli specializzati. Così queste figure si avvicendano spesso, tanto che circa il 60% degli alunni e degli studenti con disabilità italiani ha cambiato insegnante per il sostegno da un anno scolastico all’altro – quasi uno su dieci ad anno in corso. Un fenomeno, la discontinuità didattica, che sembrerebbe essersi stabilizzato, secondo Istat. A loro fianco ci sono oltre 68mila assistenti all’autonomia e alla comunicazione, operatori specializzati il cui apporto serve a migliorare la qualità dell’azione formativa. Ma “scarseggiano” nel Sud Italia (in Campania ce n’è uno ogni 9,5 studenti con disabilità).

Accessibilità

Se il percorso dell’inclusione presenta ostacoli, la strada dell’accessibilità è ancora in salita per via della presenza di molto barriere fisiche nelle scuole e la mancanza di “indicazioni”, tattili o visive, per gli allievi non vedenti e quelli non udenti. Solo il 40% degli edifici scolastici è accessibile per chi ha una disabilità motoria, riporta sempre l’Istituto nazionale di statistica, soprattutto se non c’è l’ascensore o non è adatto al trasporto di persone con disabilità, oltre alla poca diffusione di bagni a norma e di servoscala interni. Insufficienti anche gli ausili senso-percettivi per aiutare a orientarsi chi ha disabilità sensoriali, cioè una minor capacità di vedere o di sentire, dato che solo il 17% delle è accessibile per gli studenti con ipoacusia o sordità e appena l’1,2% per quelli con ipovisione e cecità.

Partecipazione limitata

Gli studenti con disabilità si trovano spesso a rinunciare ad andare in gita di istruzione con la classe quando è previsto il pernottamento fuori casa. La partecipazione si ferma al 32%, rispetto all’87% delle uscite didattiche brevi. Bassa è anche l’adesione ad attività extra-didattiche organizzate nelle ore di scuola, com i laboratori artistici o di teatro, che non raggiunge il 50% (48%).

Foto di Tomasz Mikołajczyk da Pixabay

L’intervista

Interris.it ha interpellato Raffaele Iosa sull’inclusione scolastica delle persone con disabilità e sulla “cattedra inclusiva”.

Cosa si intende per inclusione nella scuola?

“L’applicazione concreta e umana del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana che dice di rimuovere le condizioni che impediscono alle persone lo sviluppo umano. L’inclusione è un dovere etico che diventa pedagogico, significa dare a tutti possibilità di svilupparsi in maniera comunitaria, insieme. La crisi della scuola è nel provare a realizzare l’inclusione attraverso quella che definisco ‘isolazione’. La mattina entrano tutti a scuola dallo stesso portone, poi mentre gli altri bambini vanno in classe alcuni vanno nelle aule di sostegno. Ma la grande sfida dell’inclusione è una comunità dove si lavora insieme sul potenziale di ognuno, riconoscendo i limiti che esistono”.

Quali sono le tappe principali delle normative sull’inclusione scolastica?

“Nel 1971 è entrata in vigore la legge 118 che prevedeva che le famiglie con figli con disabilità potessero chiedere di iscriverli nelle scuole ‘normali’ invece che in quelle speciali. Con la legge 517 del 1977 le seconde sono state chiuse e quasi tutte le famiglie se n’erano già andate. Il terzo passo, non del tutto realizzato, è stato il regolamento dell’autonomia delle scuole negli anni Novanta. Si dovevano definire gli obiettivi generali e lasciare alle scuole la flessibilità di adattare alle persone i propri orari e i modi per essere fruita, vissuta, e viceversa”.

Quanto è inclusiva la scuola italiana?

“La crisi in corso è dovuta all’aver pensato che l’unica soluzione fosse l’insegnante di sostegno, quando invece vanno coinvolti tutti i docenti e tutti gli allievi. Ritengo che in totale ci sia quasi un milione di alunni e studenti con un qualche certificato medico, perché oltre ai 338mila con disabilità ci sono i 320-330mila con certificazione di disturbi specifici dell’apprendimento (dsa) e quelli con bisogni educativi speciali, con disagi che vanno dallo svantaggio socio-economico ai disturbi evolutivi specifici. Per ognuno essi le scuole devono predisporre dei progetti ad hoc, il Piano educativo individualizzato (Pei) o il Piano didattico personalizzato (Pdp), col rischio però di isolarli. Non dico che tutti debbano fare tutto nello stesso momento, ma occorre trovare uno spazio anche per i ragazzini in difficoltà, ascoltarli e lavorare sui loro potenziali oltre che sui deficit. Tanti bambini potrebbero fare cose interessanti, per esempio con la musica”.

Foto di Thomas G. da Pixabay

Il ricorso a tanti insegnati non specializzati nel sostegno è sintomo che non ce ne sono abbastanza di specializzati?

“Non ce ne sono sia perché le università ne formano pochi, la maggior parte al Sud e non tutti sono disposti a venire al Nord, sia perché la professione docente è in crisi non solo in Italia ma in tutta Europa. Sta perdendo fascino, non è sentita come gratificante. Io ho cominciato a fare il maestro elementare a 18 anni e per me è stata una meraviglia, nel resto della mia vita professionale ho sempre avuto nostalgia dell’aula. Stare con i bambini e con i giovani è di una bellezza unica”.

Quali sono i punti principali della vostra proposta di legge?

“Tutti i docenti devono fare tutto. Gli insegnanti devono essere formati fin dall’inizio a seguire in classe alunni e studenti di qualsiasi condizione, oggi non è così. La pdl prevede che ogni anno una quota di insegnanti curriculari faccia formazione per imparare a gestire il ragazzo con sindrome di Down o quello autistico, a costruire situazioni dove si tengono tutti insieme. La didattica dell’inclusione è insegnare una materia a uno studente con disabilità magari facendo qualcosa di diverso o andando più piano con il programma. Ci sono degli studenti con problemi caratteriali o di comportamento che vanno seguiti da tutti i docenti e non solo da quelli di sostegno per evitare che magari qualcuno venga portato fuor dall’aula gestire le differenze e le difficoltà. Vogliamo diffondere buone pratiche fatte in tutte le classi da tutti gli insegnanti, senza trasformare il docente di lettere o matematica in insegnante di sostegno né abolendo quest’ultimo – che aiuta nella gestione dell’alunno invece di farlo da solo, col rischio che si isolino sia lo studente che l’insegnante”.